Yom Kippur 5785 – Solidarietà, Compassione e Perdono
di Rav Shmuel Rabinowitz, Rabbino del Kotel e luoghi sacri in Israele
tradotto ed adattato da David Malamut
Uno straniero entrando in una sinagoga durante lo Yom Kippur resterebbe meravigliato ascoltando le diverse preghiere, soprattutto quando noterebbe l’intensità e l’emozione dei fedeli. Molte persone stanno insieme tra loro, i ricchi e i poveri, quelli istruiti e quelli meno istruiti, giovani e anziani, religiosi e meno religiosi, donne e uomini, quelli provenienti da uno strato socio-economico elevato e quelli emarginati della società – tutti stanno insieme davanti a Dio senza discriminazioni, nel fare qualcosa di davvero straordinario: chiedere perdono.
Tutte le persone hanno i propri rimpianti. Il rimpianto fa parte dall’essere umano e di certo è una questione molto complessa. Si potrebbe dire che chi non ha rimpianti manca di consapevolezza di sé. Per avere rimpianti, una persona non ha bisogno di aver commesso un crimine oltraggioso, rubando o (che Dio non voglia) commettere un omicidio. È sufficiente non aver trattato bene il nostro partner o aver offeso un amico. Piccoli atti, anche piccolissimi, lasciano una piccola cicatrice che richiede perdono, purezza ed espiazione.
I nostri saggi, però, hanno messo qui un grande segnale di avvertimento che dice (Trattato Yoma, capitolo 8):
<<I peccati che intercorrono tra un uomo e i suoi simili non vengono espiati durante lo Yom Kippur>>
In effetti, non si può offendere un’altra persona e chiedere perdono a Dio. Il perdono va chiesto alla persona che feriamo e solo lei può perdonarci.
In realtà, la mattina dello Yom Kippur, leggiamo una sezione delle parole del profeta Isaia (Yeshayahu capitolo 58) in cui presenta un dibattito tra Dio e gli esseri umani. In questo capitolo, vediamo come Yom Kippur ci porta a riparare i nostri modi di fare e di essere giusti e gentili con il nostro prossimo.
Il profeta Isaia dice che le persone affermano quanto segue davanti a Dio: “Perché abbiamo digiunato e tu non hai visto; abbiamo afflitto l’anima nostra e tu non lo sai?” Questa domanda viene posta dopo il digiuno, quando il perdono tanto desiderato non si vede all’orizzonte e per la disperazione delle persone che si rivolgono a Dio chiedendo: “Perché il digiuno non ha aiutato?!”
La risposta di Dio è chiara e inequivocabile: Sarà questo il digiuno che sceglierò, un giorno in cui l’uomo affligge la sua anima? È forse piegare la testa come un amo da pesca e stendere sacco e cenere? Lo chiamerai un giorno di digiuno e gradito al Signore? E voi, esseri umani, pensate che io desideri che soffriate?! E mi trae qualche vantaggio il fatto che piegate la testa e vi affliggete?!
Se è così, se il digiuno non è fine a se stesso ma il mezzo per raggiungere qualcos’altro, qual è questo traguardo agognato? Dio risponde a questa domanda con la seguente risposta sorprendente: Non è questo il digiuno che sceglierò?… Non è per condividere il tuo pane con l’affamato e il povero gemente che riporterai a casa; quando ne vedrai uno nudo, lo vestirai e non ti nasconderai dalla tua carne. Questo, spiega Dio, è come voglio che appaia il tuo digiuno. Questo è l’obiettivo che mi aspetto che il digiuno ti aiuti a raggiungere. Lo scopo del digiuno non è soffrire (o mettersi a dieta). Lo scopo è che dovremmo pensare ai miserabili, ai poveri, a coloro che non hanno cibo né vestiti, al fatto che c’è un senso di solidarietà tra tutte le persone e non dobbiamo ignorare la sofferenza umana. Questo è lo scopo del digiuno!
Il profeta Isaia (Yeshayahu) promette che «Allora chiamerai e il Signore risponderà, griderai ed Egli dirà: “Eccomi”». Poi, quando finiremo Yom Kippur avendo preso la decisione reale e sincera di fare di più per gli altri, di lavorare per rendere il mondo un posto leggermente migliore, di trattare meglio le nostre famiglie – allora Dio risponderà alla nostra chiamata!
Oltre a questo, c’è un altro modo in cui lo Yom Kippur ci influenza in modo positivo. Una delle sezioni ripetute più e più volte durante lo Yom Kippur è una breve parte della Torah chiamata i Tredici Attributi della Misericordia. Ancora e ancora, ripetiamo i seguenti versi (Esodo 34, 6-7):
<<Il Signore cioè passandogli davanti proclamò: Il Signore, (unico) il Signore è Dio clemente e benigno, longanime, e grandemente benevolo e verace. Egli conserva la benevolenza [da lui dimostrata ai buoni] anche ai millesimi discendenti; tollera il peccato, la colpa ed il trascorso, senza però mandarli impuni; esigendo anzi conto dei peccati dei padri dai figli e dai nipoti, dai terzi e dai quarti discendenti.>>
La ripetizione di per sé ha scopi diversi. Uno di questi riguarda sottolineare l’essenza e l’idea di questo giorno sacro. Quando ripetiamo questa dichiarazione più e più volte, ci convinciamo che il percorso corretto tra noi e i nostri simili (e non solo tra noi e il nostro Creatore) è il percorso della compassione, del perdono, della gentilezza e della verità. C’è della virtù in questa affermazione. Ci rivolgiamo a Dio nel merito di quelle stesse qualità di misericordia con cui Egli Si identifica, e così risvegliamo quegli stessi tratti in tutta la società umana, e specialmente in noi stessi. Come hanno detto i nostri saggi, chiunque si comporti con indulgenza e perdono nei confronti dei suoi simili guadagna un trattamento simile dall’Onnipotente. Se prendiamo l’abitudine di mostrare grazia e gentilezza non meritata verso gli altri, compresi coloro che hanno commesso dei torti contro di noi, allora siamo sicuri di guadagnare questo stesso tipo di grazia non meritata dall’Altissimo.
Una persona che conclude Yom Kippur con questo messaggio, un messaggio di compassione e perdono, è una persona che ha interiorizzato quello che la Torah chiama “il Sentiero di Dio”, il modo in cui Dio tratta il mondo. Questa persona può essere certa che dopo Yom Kippur sarà più pura e i suoi peccati saranno perd