Una scala sulla terra –  Vayetzeh 5785

 In Dall'Ufficio Rabbinico

di Rav Shmuel Rabinowitz, Rabbino del Kotel e luoghi sacri in Israele

tradotto ed adattato da David Malamut

Parashat Vayetze inizia con la storia di Giacobbe che lascia Be’er Sheva, partendo dalla casa dei suoi genitori e intraprendendo un viaggio per fondare la sua propria famiglia, la futura Casa d’Israele. Questa non è semplicemente una fuga ansiosa da suo fratello Esaù, ma una missione mirata per adempiere alla sua chiamata di fondare la nazione eletta.

Ogni tappa del viaggio di Giacobbe, come descritto nella Torah, rappresenta una pietra miliare essenziale che deve superare, prima di incontrare Rachele e Lea, le matriarche della nazione, e costruire con loro la Casa di Israele. Queste pietre miliari forniscono lezioni a noi, suoi discendenti, su come affrontare le sfide della nostra vita.

Un midrash nella porzione della Torah di questa settimana interpreta il noto versetto dei Salmi:

<<Cantico di Maalot. Io alzo gli occhi a’monti (he’harim)>>

שִׁיר לַמַּעֲלוֹת אֶשָֹּׂא עֵינַי אֶל הֶהָרִים (Salmi 121, 1)

Giacobbe, che, lasciando Be’er Sheva, riflette su un viaggio simile compiuto decenni prima da Eliezer, servitore di Abramo, che cercava Rebecca come moglie di Isacco. Giacobbe dice a sé stesso:

<<Alzo gli occhi verso gli antenati, genitori (he’horim).>>

אֶשָֹּׂא עֵינַי אֶל הַהוֹרִים

Qui, abbiamo il gioco del doppio uso del “kamatz”: come tale e come “kamatz gadol”, che si lege “O”, con significato diverso.

Allo stesso modo, ogni ebreo, discendente dei patriarchi e delle matriarche, quando si trova ad affrontare difficoltà o confusione, può alzare lo sguardo verso le vie dei propri antenati e imparare dai loro percorsi.

Quando il sole inizia a tramontare, Giacobbe interrompe il suo viaggio e trascorre la notte sul monte Moriah, il luogo in cui suo nonno Abramo legò suo padre Isacco, destinato a diventare il luogo eterno della presenza di Dio, dove sarebbero sorti i Sacri Templi.

Qui Giacobbe fa un sogno straordinario descritto nel versetto:

<< Egli ebbe un sogno, in cui vedeva una scala situata in terra, colla cima che arrivava al cielo; e che gli angeli di Dio salivano e scendevano per quella. >> (Genesi 28, 12)

Chiaramente, la scala non è funzionale, poiché gli angeli non ne hanno bisogno per salire o scendere. Gli angeli, esseri spirituali di grande potenza, non hanno bisogno di strumenti fisici o mezzi di transizione o di trasporto. Invece, la scala è una metafora del percorso che ognuno dei discendenti di Giacobbe percorrerà per tutta la vita in questo mondo.

La scala simboleggia la missione di un ebreo: ascendere ed elevare, santificare il fisico ed elevare il mondano verso il sublime. La scala è radicata nella terra ma raggiunge il cielo, permettendo alla sua sommità di connettersi alle altezze divine.

Il rabbino Chaim di Volozhin (1749-1821), fondatore della Volozhin Yeshiva che operò per tutto il XIX secolo nell’impero russo, nota nel suo libro Nefesh HaChaim la sfumatura linguistica della frase “mu’tzav artza” (מֻצָּב אַרְצָה posto sulla terra) invece del più convenzionale “mu’tzav ba’aretz” (מוצב בארץ posto sul terreno). Spiega che la frase suggerisce una destinazione. Il termine artzaindica che anche la terra stessa è una destinazione, insieme al cielo.

L’ebraismo presenta una profonda duplice sfida. Da un lato ci pone davanti un obiettivo elevato, quasi inimmaginabile. Come ebreo, discendente dei patriarchi e delle matriarche, sei chiamato ad alzare gli occhi al cielo e ad allineare tutte le tue azioni con i regni più alti dell’esistenza. Anche mentre vivi nel mondo fisico, la tua mente deve aspirare a raggiungere i cieli. Abbiamo il compito di una costante crescita spirituale e ascesa.

Eppure, questa sfida spirituale ha un aspetto complementare. Ci è affidata la missione di portare il paradiso sulla terra, infondendo un significato spirituale nella routine quotidiana e santificando ciò che è mondano. Questa dualità è l’essenza del duplice scopo della scala: raggiungere sia il cielo che, fino alla sua seconda destinazione, la terra.

A volte potremmo sentirci insignificanti e dubitare della nostra capacità di avere un impatto. Potremmo chiederci: “Come e cosa posso contribuire alla nazione?” e sottovalutiamo il nostro valore. Tuttavia, lo scorso anno di guerra ci ha rivelato che dentro di noi si muovono fiamme di luce le cui teste raggiungono il cielo: individui straordinari che fungono da fonte di ispirazione per tutti noi.

Ricordiamo che ciascuno di noi è una scala posata sulla terra, capace di attingere la luce divina per illuminare il mondo e i suoi abitanti.

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