Tre passi per l’umanità
di Rabbino Lord Jonathan Sacks zt”l
tradotto ed adattato da David Malamut
Nella sua introduzione alla versione del siddur pubblicato da ArtScroll per conto del Rabbinical Council of America (Consiglio Rabbinico d’America), il rabbino Saul Berman ha una bella composizione sulla parola che compare all’apertura della parasha di questa settimana, vayigash, וַיִּגַּשׁ “e si avvicinò”. Poiché il lavoro non è ampiamente disponibile al di fuori dell’America, un riassunto viene proposto sotto.
È nostra abitudine fare tre passi avanti prima di iniziare l’Amidah, la “preghiera in piedi”. Questi passi simboleggiano un approccio formale alla presenza divina. È come se fossimo stati introdotti nella camera più interna del palazzo e ci “avvicinassimo” per presentare la nostra petizione al supremo Re dei Re.
Il rabbino Eleazar ben Judah (Eleazaro di Worms, 1176-1238), autore del Sefer HaRokeach, ha avanzato l’affascinante suggerimento che questi tre passi corrispondano alle tre volte nella Bibbia ebraica in cui la parola vayigash, “e si avvicinò“, è usata in collegamento con la preghiera e suppliche.
Il primo è il momento in cui Abramo viene a conoscenza dell’intenzione di Dio di distruggere Sodoma e Gomorra e le città della pianura.
<<Abramo si fece innanzi [vayigash], e disse: Sarebbe mai che tu facessi perire il giusto col malvagio? Forse vi sono cinquanta giusti entro quella città: sarebbe mai che tu facessi eccidio, e non usassi indulgenza al paese, in grazia dei cinquanta giusti che vi son dentro? Lungi da te di fare simil cosa, di far morire il giusto insieme al malvagio, in guisa che ugual sorte abbiano il giusto ed il malvagio! Lungi da te! Il giudice di tutta la terra non farebbe giustizia?>> (Genesi 18, 23-25)
Il secondo si verifica nella parasha di questa settimana. La coppa d’argento di Giuseppe è stata ritrovata nel sacco di Beniamino, proprio come aveva previsto. Giuseppe, la cui vera identità è ancora sconosciuta ai fratelli, dice che Beniamino sarà ora considerato suo schiavo. Gli altri potranno andare liberi. Giuda, dopo aver dato a Giacobbe la sua personale garanzia del ritorno sano e salvo di Beniamino, ora implora il rilascio di suo fratello.
<< Allora Giuda, appressatosi [vayigash] a lui, disse: Deh, signore, permetti ch’il tuo servo diriga qualche parola al mio signore, senza ch’il tuo sdegno si accenda contro del tuo servo; poiché tu sei altrettanto che Faraone.>> (Genesi 44, 18)
Il terzo compare nel grande confronto sul Monte Carmelo tra il profeta Elia e i 450 falsi profeti di Ba’al. Elia propone una prova. Lascia che ciascuna parte prepari un sacrificio e invochi il nome della propria divinità. Colui che manderà il fuoco è il vero Dio. I 450 profeti si preparano, appunto. Preparano il sacrificio e chiedono a Ba’al di mandare il fuoco. Non succede nulla. Piangono tutto il giorno, gridando, dimenandosi, lacerandosi e lavorando come deliri, ma non arriva il fuoco. Allora “Elia si fece avanti [vayigash] e pregò: O Signore, Dio di Abramo, di Isacco e di Israele, fa’ che oggi si sappia che tu sei Dio in Israele e che io sono tuo servo e ho fatto tutte queste cose al tuo comando.” Il fuoco scende e il popolo cade a terra dicendo: “tu, Signore, sei il [vero] Dio” >> (Primo libro dei Re 18). Recitiamo questa frase sette volte al culmine di Neilah durante lo Yom Kippur
(יְהוָֹה הוּא הָאֱלֹהִים).
Tre approcci, tre preghiere, ma molto diverse tra loro. Abramo prega per la giustizia. Giuda prega per avere misericordia. Elia prega affinché Dio si riveli.
Abramo prega per gli stranieri, la gente della pianura. Lo sappiamo, sono malvagi. La Torah ce lo ha detto molto tempo prima, quando Lot si separò per la prima volta da Abramo per stabilirsi a Sodoma (Genesi 13, 13). Eppure, Abramo è preoccupato per il loro destino. Egli interviene in loro difesa. Abramo parla dell’alleanza di solidarietà umana.
Giuda implora Giuseppe per il bene di suo fratello Beniamino e di suo padre Giacobbe, che sa di non essere in grado di sopportare la perdita di un altro amato figlio. Parla in nome della famiglia e della sua integrità, dei legami emotivi che legano coloro che condividono un’ascendenza comune.
Elia parla a Dio, per così dire, per amore di Dio. Vuole che il popolo rinunci all’idolatria e ritorni alla fede ancestrale, quella dei padri, all’unico vero Dio che li ha salvati dall’Egitto e li ha presi a sé nell’amore. La sua preoccupazione principale è la sovranità di Dio sul popolo. Più tardi, quando Dio si rivela sul monte Horeb, Elia dice: “Fui zelante pel Signore, Iddio Sevaot”. Parla per l’onore di Dio stesso.
Anche le loro rispettive posizioni sono diverse. Abramo, nel corso della sua preghiera, definisce sé stesso “tuttochè io sia terra e cenere”. Giuda si descrive come un “servo” al cospetto di un sovrano. Elia descrive sé stesso come un profeta: “… i tuoi profeti, dei quali rimasi io solo…”. Abramo rappresenta il nostro senso di stupore e timore di fronte all’infinito, Giuda la nostra umiltà di fronte alla maestà, Elia la grandezza e la dignità di coloro che sono portatori della parola divina.
Ci sono accenni di questi incontri nei primi tre paragrafi dell’Amidah. Il primo riguarda i patriarchi. Dio “si ricorda delle buone azioni dei padri”. Questo ci ricorda la preghiera di Abramo.
Il secondo riguarda la Gevurah, il governo dell’universo da parte di Dio, “che sostiene i caduti, guarisce i malati, libera chi è legato e mantiene la fede con coloro che giacciono nella polvere”. Quando lo recitiamo, siamo come Giuda davanti a Giuseppe, un servitore o un suddito al cospetto della sovranità e del potere.
Il terzo riguarda la Kedushat Hashem, “la santità del nome di Dio”, che significa il riconoscimento di Dio da parte degli esseri umani. Quando un atto rende le persone consapevoli dell’esistenza di Dio, lo chiamiamo Kiddush Hashem. Questo è esattamente ciò che Elia cercò e riuscì di fare sul Monte Carmelo.
Queste tre preghiere, ciascuna un momento storico nell’apertura dello spirito umano verso Dio, insieme rappresentano l’intero spettro di emozioni e preoccupazioni che portiamo nell’atto della preghiera. Ciascuno è introdotto dalla parola vayigash, “si fece innanzi, appressarsi, si fece avanti”. Quando facciamo tre passi avanti all’inizio di ogni preghiera, stiamo ripercorrendo le orme di tre giganti dello spirito, Abramo, Giuda ed Elia, rievocando i loro grandi incontri con Dio.
Il 21 luglio 1969 Neil Armstrong, il primo essere umano a mettere piede sulla Luna, pronunciò le famose parole: “Questo è un piccolo passo per l’uomo, ma un grande balzo per l’umanità”. I nostri tre piccoli passi verso il cielo rappresentano tre balzi non meno storici per l’umanità.