Tavola rotonda: La libertà religiosa oggi in Italia, a 40 anni dalle intese

 In News Italia e Israele, Incontri Interreligiosi

A conclusione del ciclo di eventi organizzati in collaborazione con l’Accademia di belle arti di Verona, il Conservatorio di musica Dall’Abaco, lo Studio teologico San Zeno, la Chiesa valdese di Verona e con il patrocinio della Società di studi valdesi, in occasione della celebrazione degli 850 anni della conversione di Valdo di Lione, ispiratore del movimento valdese , Mercoledì 20 novembre, alle 17, nella sede della Società letteraria di Verona si è tenuta la tavola rotonda su  “La libertà religiosa oggi in Italia, a 40 anni dalle intese”, introdotta e coordinata da Gian Paolo Romagnani, presidente della Società di studi valdesi e moderata da Ilaria Valenzi, docente dell’università La Sapienza di Roma.

Alla tavola rotonda hanno partecipato Ilaria Valenzi, docente dell’università La Sapienza di Roma ed esponenti delle comunità cattoliche, valdesi, ebree, musulmane e Uaar, Unione degli atei e degli agnostici razionalisti. Giuseppe Comotti, docente di diritto ecclesiastico presso l’Università di Verona ,Laura Testa, pastora valdese di Verona ,Ester Silvana Israel, Vicepresidente  della Comunità ebraica di Verona, Abderrazak Lemkhannet, rappresentante Unione delle Comunità Islamiche in Italia, Roberto Grendene, Segretario nazionale dell’Unione Atei Agnostici Razionalisti.

Romagnani nel suo intervento introduttivo ripercorre il cammino della libertà religiosa in Italia dalle “regie patenti” del 17 febbraio 1848 che avevano concesso la libertà di culto e l’emancipazione civile ai Valdesi e poche settimane dopo anche agli Ebrei ( All’articolo 1 la religione cattolica apostolica  e romana è la sola religione dello Stato e  gli altri culti allora  esistenti sono tollerati conformemente alle leggi) . Passando ai Patti Lateranensi, firmati da Mussolini, ( 11 febbraio 1949) che concedevano notevoli privilegi alla Chiesa Cattolica Romana concedendo al Papa una sorta di nuova forma di temporalis in miniatura con l’istituzione e riconoscimento dello Stato Città del Vaticano.  Pochi mesi dopo I Patti Lateranensi veniva approvata la legge fascista del 24 giugno 1929 sui culti ammessi una legge che è ancora in vigore. Tra il 1946 e il 1948  per volontà popolare in Italia entrava in vigore il nuovo ordinamento costituzionale che oggi sembra molti vogliano mettere in discussione e quindi possiamo ricordare qui gli articoli fondamentali 7 e 8 della Costituzione. Da questi due articoli consegue comunque nonostante il privilegio concesso alla religione cattolica romana con la costituzionalizzazione dei Patti Lateranensi il riconoscimento delprincipio di laicità dello Stato, purtroppo mai interamente attuato,  in base al quale ciascuno ha il diritto di professare liberamente la propria religione lo Stato Italiano Dunque dal 1948 non è più uno stato Confessionale. Per vedere finalmente pienamente attuati principi affermati dall’articolo 8 bisogna però arrivare all’Intesa del 1984 siglata con la Tavola Valdese, la prima delle intese fra Stato italiano e chiesa Valdese che è stata la prima ed ancora oggi è un po’ il punto di riferimento per gli accordi fra lo Stato le diverse confessioni religiose.

I  relatori della tavola rotonda hanno accolto l’invito a riflettere su alcuni quesiti proposti : è garantita oggi in Italia una vera libertà religiosa ? In un quadro di libertà formalmente affermata vi sono episodi che contraddicono questo fondamentale principio costituzionale? Vi sono difficoltà specifiche più frequenti nei rapporti con lo Stato e con la Società? Nel rapporto tra Stato e confessioni religiose è più opportuna una linea rigorosamente separatista o vanno definiti il più possibile accordi con le diverse confessioni? Inoltre si è dibattuto riguardo all’insegnamento religioso nella scuola e sulla legittimità che alle intese con lo Stato  possano partecipare anche realtà non confessionali come l’UAAR (unione atei agnostici e razionalisti.


Il percorso ebraico

Prenderò in considerazione il rapporto tra lo Stato e le Comunità Ebraiche dal secondo dopoguerra ad oggi.

Nel terzo congresso delle comunità israelitiche del 1946 –gli ebrei auspicavano un’assoluta parificazione di tutti i culti, nel “rispetto dell’uguaglianza dei diritti e doveri di tutti i cittadini”. Una parità di trattamento che non ci fu come dimostra la presenza dell’articolo 7 della Costituzione, retaggio degli anni Trenta.

Un articolo dell’epoca ,pubblicato sulla Rassegna Mensile di Israel, evidenzia come Il mondo ebraico visse quel momento come una battaglia perduta e denunciava il “grave errore” compiuto dai costituenti che avevano accettato “la preminenza della chiesa cattolica” e quindi “vulnerato” il principio del trattamento uguale di tutti i cittadini italiani.

Fino all’entrata in vigore dell’intesa siglata il 27 febbraio del 1987 tra l’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane, oggi UCEI, ( la cui negoziazione inizio nel 1982 ma entrò nel merito solo a partire dal 1985) le Comunità Israelitiche erano regolate dal Regio decreto del 30 ottobre 1930 n. 1731 “Norme sulle Comunità israelitiche e sulla Unione delle Comunità medesime”, emanato in applicazione della legge “Disposizioni sull’esercizio dei culti ammessi nello Stato e sul matrimonio celebrato davanti ai ministri di culto medesimi”. (dopo i Patti lateranensi a cui è collegata la legge sui culti ammessi del 24 giugno 1929)

La legge del 30, nota anche come legge Falco, dal nome di uno dei tre membri ebrei della commissione istituita dal ministro Rocco da una parte ha come obiettivo quello di unificare la condizione giuridica delle comunità israelitiche ma d’altro canto diversi articoli rivelano forti ingerenze statali.

Tra i punti salienti di questa legge vi sono: la costituzione delle comunità israelitiche (e non più università israelitiche) in corpi morali, cui appartengono “tutti gli israeliti che hanno residenza nel territorio di essa” (art. 4); la disciplina sull’organizzazione interna, sull’amministrazione e sulla direzione spirituale; la costituzione dell’Unione delle Comunità israelitiche italiane con sede a Roma. La legge prevede inoltre una ridefinizione a livello territoriale.

È stato attentamente osservato che tali provvedimenti certamente non erano circoscritti alla disciplina dei rapporti esterni tra la confessione e lo Stato ma si estendevano alla regolamentazione dello statuto interno dell’ebraismo in quanto ne determinavano “l’appartenenza dei membri, l’organizzazione interna, i poteri degli organi e le forme di controllo da parte dell’autorità amministrativa”

L’ingerenza statuale nel fenomeno associativo ebraico, in virtù del clima ispettivo ed accertativo del R.D. 30 ottobre 1930 n. 1731, comportò l’univoca ed unanime considerazione dottrinale e giurisprudenziale di considerare le comunità israelitiche, e la loro Unione, alla stregua di enti pubblici (IPAB) e non di corpi morali così come l’art. 1 ne imponeva la nomenclatura. Dunque da un lato, corporazioni equiparate agli enti pubblici e, dall’altro lato, istituti di un culto ammesso.

Successivamente la normativa del 1930 viene modificata da alcuni congressi dell’Unione delle Comunità Israelitiche (1961 e 1968) e nel 1989 ed è definitivamente con la Legge 101, emanata sulla base dell’Intesa tra la Repubblica Italiana e l’U.C.I.I. (27 febbraio 1987).

A lungo l’ebraismo ritenne che la legge del 30 bastasse a regolare l’organizzazione comunitaria. Gli organi statutari erano sì elettivi ma non era previsto ad esempio l’elettorato passivo delle donne. I primi fermenti si ebbero a Torino, da dove negli anni ’60 si incominciò a chiedere di cambiare i rapporti con lo Stato nonché modificare le regole sull’elettorato attivo e passivo per le Comunità.

E poi arrivò l’Intesa vera e propria che, nelle parole di Giorgio Sacerdoti sancì “il godimento dello status paritario dell’ebraismo italiano”. “L’intesa ha portato anzitutto ad un pieno riconoscimento della libertà individuale degli ebrei di praticare la propria religione” scriveva lo stesso Sacerdoti in occasione del ventennale dall’accordo. Ma è anche stato il viatico per sigillare la piena integrazione dell’ebraismo nella società italiana, facendolo “diventare un modello anche per le altre realtà” e una strada da seguire anche sul versante dei migranti.

Quella attuale è una legge (L. 8 marzo 1989, n. 101 (1) . Norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e l’Unione delle Comunità ebraiche italiane ) che si distacca nettamente, quanto meno nella sua struttura portante, più ancora che nei contenuti, dalla precedente normativa che regolava la vita della minoranza ebraica in Italia, perché frutto di quella bilateralità voluta dal legislatore costituzionale, all’art. 8 della Costituzione repubblicana, e che differisce non poco dal sistema tipico dell’unilateralità, segnato, per quanto riguarda il regime giuridico delle confessioni religiose.

35 anni sono un periodo sufficientemente lungo per permettere di comprendere se i meccanismi che hanno a suo tempo presieduto all’elaborazione della legge che ha incluso l’accordo tra Stato e Comunità ebraiche siano stati adeguati. E, soprattutto, se lo siano ancora ai nostri giorni, in una società che in questi tre decenni e oltre si è imbattuta sicuramente in notevoli cambiamenti, anche dal punto di vista politico e sociale ed è diventata una società sempre più pluralista, multireligiosa e multiculturale, più attenta e più coinvolta nei diritti dei singoli e delle collettività.

Vi sono alcuni nodi irrisolti ed il dibattito intorno alle dinamiche interne dell’ebraismo ed ai suoi rapporti con lo Stato può costituire ancora oggi un laboratorio di idee per tentare di capire , primo fra tutti,  l’incompleto pluralismo religioso di cui emblematica è la condizione giuridica dell’ Islam Italiano.

Importante per il raggiungimento dell’Intesa è stata la ricomposizione delle fratture interne di natura normativo-istituzionale ed il prevalere della logica verticale della rappresentanza unitaria su quella orizzontale e particolarista delle singole Comunità come testimoniato  art 19 legge 101-89 che sancisce  il ruolo dell’Unione quale “ente rappresentativo della confessione ebraica nei rapporti con lo Stato e per le materie di interesse generale dell’ebraismo” che rappresenta gli ebrei in Italia e ne tutela e cura gli interessi generali , dunque non solo religiosi.

Ester S.Israel

nella foto : firma delle Intese con Ebraismo Italiano . foto archivio UCEI

 

 

 

 

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