Specchi d’amore – Parashat Vayakhel
di Rabbino Lord Jonathan Sacks zt”l
tradotto ed adattato da David Malamut
La Torah nella Parsha di Vayakhel, che descrive la creazione del Mishkan, fa di tutto per mettere in evidenza il ruolo svolto dalle donne in tale processo:
<<Vennero in folla uomini e donne; ogni cuor generoso portò spilletti, ed orecchini, ed anella, e cumàz [?], ogni sorta d’arredi d’oro; come pure ogni uomo che presentò dell’oro [non lavorato] in offerta al Signore.>> (Esodo 35, 22)
<<E tutte le donne d’ingegno filarono colle loro mani, e recarono filati di lana azzurra, e di porpora, e di scarlatto, e di bisso. E tutte le donne, il cui ingegno le sollevava [distingueva] per abilità, filarono il pelo di capre.>> (Esodo 35, 25-26)
<<Ogni uomo e donna dal proprio cuore inspirati a portare per tutta l’opera ch’il Signore, per mezzo di Mosè, prescrisse da farsi: gl’Israeliti (dico) recarono offerte al Signore.>> (Esodo 35, 29)
In effetti l’enfasi è ancora maggiore di quanto sembri nella traduzione, a causa dell’insolita locuzione nel versetto 22, וַיָּבֹ֥אוּ הָאֲנָשִׁ֖ים עַל־הַנָּשִׁ֑ים Vayavo-u ha-anashim al hanashim, che implica che le donne vennero per prime a fare le loro donazioni, e gli uomini semplicemente seguirono il loro esempio (Ibn Ezra, Ramban e Rabbenu Bachye).
Ciò è tanto più sorprendente poiché la Torah implica che le donne si rifiutarono di contribuire alla realizzazione del Vitello d’Oro (vedere i commenti a Esodo 32, 2). Le donne avevano un senso di giudizio nella vita religiosa, cosa è la vera adorazione e cosa è una falsa, che mancava agli uomini.
Kli Yakar (R. Shlomo Ephraim Luntschitz, 1550-1619) sottolinea ulteriormente che poiché il Tabernacolo era un’espiazione per il peccato del Vitello d’Oro, le donne non avevano alcun bisogno di contribuire, poiché erano gli uomini, non le donne, ad aver bisogno dell’espiazione. Tuttavia, le donne donarono, e lo fecero prima degli uomini.
Ma la cosa più toccante è di gran lunga il verso criptico:
<<E fece la conca di rame, ed il suo piedestallo di rame, cogli specchi delle donne, che recavansi a lavorare all’ingresso del padiglione di congregazione, [le quali, oltre all’opera loro, tributarono gli stessi loro specchi, fatti di lucente rame].>> (Esodo 38, 8)
I Saggi (nel Midrash Tanhuma) raccontarono una storia su questo. Ecco come la racconta Rashi:
“Le donne israelite possedevano degli specchi, nei quali si guardavano quando si adornavano. Anche questi [specchi] non si trattennero dal portarli come contributo per il Mishkan, ma Mosè li rifiutò perché erano fatti per la tentazione [cioè, per ispirare pensieri lussuriosi].”
Il Santo, Benedetto sia Lui, gli disse: “Accetta [loro], perché questi sono più preziosi per Me di qualsiasi cosa, perché attraverso di essi le donne hanno creato molte legioni [cioè, attraverso i bambini che hanno dato alla luce] in Egitto“. Quando i loro mariti erano stanchi per il lavoro massacrante, loro [le donne] andavano a portare loro cibo e bevande. Poi loro [le donne] prendevano gli specchi e ognuna si vedeva con il marito nello specchio, e lei lo seduceva con le parole, dicendo: “Sono più bella di te“. E in questo modo suscitavano il desiderio dei loro mariti e si intrattenevano con loro, concependo e partorendo lì, come è detto: “Sotto il melo ti ho suscitato” (Cantico dei Cantici 8, 5).
Questo è [il significato di] ciò che è בְּמַרְאֹת הַצֹבְאֹת [letteralmente, gli specchi di coloro che istituiscono legioni]. Da questi [gli specchi] fu fatto il lavabo.”
La storia è questa. Gli egiziani cercarono non solo di schiavizzare, ma anche di porre fine al popolo di Israele. Un modo per farlo era uccidere tutti i bambini maschi. Un altro era semplicemente interrompere la normale vita familiare. Le persone, sia uomini che donne, lavoravano tutto il giorno. Di notte, dice il Midrash, era loro proibito tornare a casa. Dormivano dove lavoravano. L’intenzione era di distruggere sia la privacy che il desiderio sessuale, in modo che gli israeliti non avessero più figli.
Le donne se ne resero conto e decisero di frustrare il piano del faraone. Usarono degli specchi per rendersi attraenti ai loro mariti. Il risultato fu che le relazioni intime ripresero. Le donne concepirono ed ebbero figli (le “legioni” a cui si fa riferimento nella parola tzove’ot). Solo per questo motivo, ci fu una nuova generazione di bambini ebrei. Le donne, con la loro fede, il loro coraggio e la loro ingegnosità, assicurarono la sopravvivenza ebraica.
Il Midrash continua dicendo che quando Mosè ordinò agli Israeliti di portare offerte per costruire il Tabernacolo, alcuni portarono oro, altri argento, altri bronzo, altri gioielli. Ma molte donne non avevano nulla di valore da offrire, eccetto gli specchi che avevano portato con sé dall’Egitto. Li portarono a Mosè, che indietreggiò disgustato. Cosa c’entrano, pensò, questi oggetti di poco valore, usati dalle donne per rendersi attraenti, con il Santuario e il sacro? Dio rimproverò Mosè per aver osato pensare in questo modo e gli ordinò di accettarli.
La storia è potente di per sé. Ci dice, come fanno tanti altri midrashim, che senza la fede delle donne, gli ebrei e l’ebraismo non sarebbero mai sopravvissuti. Ma ci dice anche qualcosa di assolutamente fondamentale per la comprensione ebraica dell’amore nella vita religiosa.
Nel suo impressionante libro recente, Love: A History (2011), il filosofo Simon May scrive:
“Se l’amore nel mondo occidentale ha un testo fondante, quel testo è l’ebraico.”
L’ebraismo vede l’amore come supremamente fisico e spirituale. Questo è il significato di “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutte le tue forze” (Deuteronomio 6, 5).
Questo non è il linguaggio della meditazione o della contemplazione, filosofico o mistico. È il linguaggio della passione.
Anche l’intellettuale rinomato Maimonide scrive questo sull’amore di Dio:
“Qual è l’amore di Dio che è appropriato? È amare Dio con un amore grande e straordinario, così forte che la propria anima sarà legata all’amore di Dio, tale da esserne continuamente rapita, come un individuo malato d’amore la cui mente non è mai libera dalla passione per una donna in particolare ed è rapita da lei in ogni momento… Ancora più intenso dovrebbe essere l’amore di Dio nei cuori di coloro che Lo amano. Dovrebbero essere rapiti da questo amore in ogni momento.” (Rambam, Hilchot Teshuvah 10, 5)
Questo è l’amore che troviamo in passaggi dei Tehillim come, “…l’anima mia è assetata di te; la mia carne ti brama in terra arida ed asciutta, senz’acqua. (Salmo 63, 2)”
Solo perché i Saggi pensavano all’amore in questo modo, davano per scontato che il Cantico dei Cantici, una serie estremamente sensuale di poesie d’amore, riguardasse l’amore tra Dio e Israele. Il rabbino Akiva lo definì “il santo dei santi” della poesia religiosa.
Fu il cristianesimo, sotto l’influenza della Grecia classica, a tracciare una distinzione tra eros (amore come intenso desiderio fisico) e agape (un amore “semplice”, distaccato tra l’umanità in generale e le cose in generale) e a dichiarare il secondo, non il primo, a essere adatto come religioso. Fu questa stessa influenza greca che portò il cristianesimo a leggere la storia di Adamo ed Eva e il frutto proibito come una storia di desiderio sessuale peccaminoso, un’interpretazione che non dovrebbe avere alcun posto nell’ebraismo.
Simon May parla dell’amore di Dio nell’ebraismo come caratterizzato da “intensa devozione; assoluta fiducia; paura del suo potere e della sua presenza; e rapito, anche se spesso interrogativo, assorbimento nella sua volontà… I suoi stati d’animo sono una combinazione della pietà di un vassallo, dell’intimità degli amici, della fedeltà degli sposi, della dipendenza di un figlio, della passione degli amanti…” Aggiunge poi: “La credenza diffusa che la Bibbia ebraica riguardi solo la vendetta e ‘occhio per occhio’, mentre i Vangeli presumibilmente inventano l’amore come un valore incondizionato e universale, deve quindi essere considerata uno dei più straordinari malintesi di tutta la storia occidentale”.
Il Midrash drammatizza questo contrasto tra eros e agape come una discussione tra Dio e Mosè. Mosè crede che la vicinanza a Dio riguardi il celibato e la purezza. Dio gli insegna il contrario, che l’amore appassionato, quando offerto come dono a Dio, è l’amore più prezioso di tutti. Questo è l’amore di cui leggiamo in Shir ha-Shirim. È l’amore che sentiamo in Yedid Nefesh, il canto famoso che gli ashkenaziti cantano all’inizio e verso la fine dello Shabbat. Quando le donne offrirono a Dio gli specchi attraverso i quali suscitavano l’amore dei loro mariti nei giorni bui dell’Egitto, Dio disse a Mosè: “Questi sono più preziosi per Me di qualsiasi altra cosa”. Le donne capirono, meglio degli uomini, cosa significa amare Dio “con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua forza“.