SHABBAT SHALOM VERONA E PURIM
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Cari amici
Il terzo libro della Torà che iniziamo a leggere questo Shabbàt tratta in maggioranza riguardo i sacrifici che si portavano nel Tabernacolo e nel Santuario di Gerusalemme.
Secondo un’antica usanza la prima parashà della Torà che si insegna ai bambini è proprio quella di Vayikrà e non, come sembrerebbe ovvio, quella di Bereshìt. Tale usanza è in vigore ancora oggi in molte comunità.
Il Midràsh ci spiega la motivazione (Vayikrà Rabbà 7:3). “Disse R. Assi, perchè i bambini iniziano a studiare da Vayikrà e non da Bereshìt? Poichè i sacrifici sono puri e i bambini sono puri. Che siano i puri ad occuparsi [dello studio] dei puri.”
In tutte le descrizioni e le norme che riguardano i sacrifici non troviamo che la Torà si riferisca ad essi come “puri”. Che cosa intende quindi il Midràsh riferendosi in questo modo ai sacrifici?
Il riferimento “puri” riguardo ai sacrifici lo troviamo presso Noè ed i suoi figli, prima che fosse stata data la Torà al monte Sinai.
Esiste un legame speciale tra i bambini e i sacrifici pre-Sinai. Nella panoramica ebraica vi sono tre epoche in generale nella storia: 1) Dopo la rivelazione sul Sinai, quando D-o ci diede la Torà e ci comandò di osservare le mitzvòt. 2) L’epoca dei nostri avi che hanno “osservato tutta la Torà prima che fosse data”. 3) L’epoca di Noè quando ancora non c’era nessuna osservanza di Torà, ma esisteva la differenza tra il puro e l’impuro.
Anche nella vita del uomo ci sono tre fasi parallele. 1) Dopo l’età di Bar e Bat Mitzvà, quando la persona è obbligata ad osservare la Torà e le Mitzvòt. 2) Prima del Bar/Bat Mitzvà, quando il bambino studia e osserva le Mitzvòt per educarsi e prepararsi per quando ne sarà obbligato. 3) Ancora prima, quando è molto piccolo e niente di tutto ciò gli viene applicato, è sempre legato alla Torà essendo un ebreo.
Qui vediamo il legame tra i bambini e i sacrifici nel contesto di purezza. Il sacrificio serve come un’espiazione per un peccato, quindi esprime il legame profondo con D-o, un legame che neppure un peccato può sciogliere.
È proprio questo il livello dei bambini. Esprimono la connessione pura con il Sign-re, ove tutte le impurità non hanno nessun effetto. Che vengano i puri e si occupino dei puri…
Un caloroso shabbat shalom !
Rav Labi
ORARI SHABBAT VERONA:
SHABBAT VAIYKRA – ZACHOR
Entrata shabbat , accensione candele: 18.03
Uscita Shabbat: 19.07
Funzioni al Tempio :
Venerdì sera
Kabalat Shabbat e Arvit : 19.00
Shabbat mattina
Shacharit e Musaf : 10.00
MILIONI DI DONNE E RAGAZZE EBREE ACCENDONO LE CANDELE DI SHABBAT OGNI VENERDI’
PURE TU ACCENDI E AGGIUNGI LUCE IN 30 SECONDI!
Accensione candele venerdì sera vigilia Shabbat entro le 18.03:
Barukh atah Ado-nai, Elo-heinu, melekh ha’olam asher kidishanu b’mitz’votav v’tzivanu l’had’lik ner shel Shabbat Kodesh.
Yehi ratzon milfanecha Ado-nai Elo-heinu Ve-lohei Avotenu sheyibane beit hamikdash bimhera beyameinu veten chelkenu betoratecha.
JEWISH VERONA NEWS:
La Comunità ha il piacere di invitare ogni membro della comunità alla festa di purim
Mercoledì 20/03/2019
Ore 19.30
Giovedì 21/03/2019
Ore 11 Meghilla seguito dal pranzo di Purim
GUIDA DI PURIM:
Torà della settimana e Purim
Vayikrà in Breve
Levitico 1:1-5:26
Il Sign-re chiama Moshè alla Tenda e gli trasmette le leggi dei sacrifici e le offerte animali e farinacee portati nel Santuario. Essi includono: l’olà, l’offerta ascendente che viene interamente bruciata sull’altare.
Cinque tipi di offerte farinacee, minchà, preparate con farina fine, l’olio d’oliva e l’incenso. Il shelamìm, l’offerta di pace, che veniva mangiata da colui che portava l’offerta dopo aver bruciato alcune parti sull’altare e averne date altre ai sacerdoti.
I vari tipi di offerte chatàt, che vengono portate per espiare dei peccati commessi involontariamente dal Sommo Sacerdote, dalla comunità, dal re o da qualsiasi ebreo. Infine, l’asham, il sacrificio della colpevolezza viene offerto da chi ha preso una proprietà del Santuario, da chi è in dubbio se ha commesso un peccato o meno o da chi ha giurato il falso per defraudare il prossimo
Perché e Come si Svolge la Lettura?
Zachòr, Ricorda ‘Amalèk
Tutto Israèl ha l’obbligo di mettere in pratica la mitzvà positiva comandata dalla Torà di odiare ‘Amalèk e i suoi discendenti. Tutti devono insegnare ai propri figli, in ogni generazione, ciò che ‘Amalek ci fece appena uscimmo dall’Egitto. L’obbligo relativo a questa mitzvà sarà completamente assolto solo quando sarà possibile obliterare completamente la memoria dell’esistenza di ‘Amalèk, e non vi sarà alcun discendente dalla sua stirpe tra le nazioni della terra.
Ricordati di ciò che ti fece ‘Amalèk quando eri in viaggio, allorché uscisti dall’Egitto, che ti assalì sulla strada e colpì tutti coloro che, affranti, erano rimasti indietro, mentre tu eri stanco e sfinito e non temette D-o. E quando il Sign-re tuo D-o ti darà tregua da tutti i tuoi nemici all’intorno nella terra che sta per darti in eredità, perché tu ne prenda possesso, cancellerai il ricordo di ‘Amalèk di sotto il cielo: non dimenticarlo! (Devarìm 25, 17-19).
I Maestri insegnano: cancellerai il ricordo… è da intendersi in senso letterale, lo annienterai, non dimenticarlo!
I Saggi stessi stabilirono che questo passo fosse letto in pubblico ogni anno nello shabbàt che precede Purìm. Il tempo specifico fu deciso in modo che l’obliterazione del nome di ‘Amalèk sia immediatamente seguita da quella del nome di Hamàn, che fu suo discendente.
Questo passo è letto regolarmente nel contesto della parashà di Ki Tetzé, nondimeno è obbligo leggerlo anche prima di Purìm, poiché le due letture sono fatte con un diverso intento. Quando il brano è letto come parte di parashàt Ki Tetzé, l’intento è quello di portare a compimento la mitzvà relativa alla lettura settimanale della Torà; quando lo si legge prima di Purìm, invece, il nostro intento è piuttosto quello di compiere la mitzvà di cancellare la memoria di ‘Amalèk.
Nello Shabbàt che precede la ricorrenza di Purìm si estraggono due sifré Torà: per il primo si fanno salire sette persone alla lettura della parashà della settimana, il settimo recita il Kaddìsh breve; il maftìr sale per il secondo sèfer Torà e legge, dalla parashà di Ki Tetzé, il brano di Zachòr et ashèr ‘assà lechà ‘Amalèk… fino a …lo tishkàch (Devarìm 25, 17-19).
Quando si sale a Sèfer si deve avere l’intenzione di adempiere alla mitzvà positiva decretata dalla Torà di ricordare ciò che ‘Amalèk fece agli ebrei e di cancellare quel personaggio negativo.
Colui che legge deve avere l’intenzione di far adempiere all’obbligo relativo a questa mitzvà tutto il kahàl.
Non si deve recitare il brano a bassa voce insieme al lettore, ma solo ascoltare in silenzio, con l’intenzione di adempiere alla mitzvà.
È opportuno usare il sèfer Torà più bello per la lettura della parashà di Zachòr.
Non si fa salire alla lettura della Torà un bambino che non abbia compito i 13 anni, ma nel caso sia già salito, reciti pure la benedizione per il Sèfer, quindi un chazàn, adulto, legga la Torà.
Se, però, è stato il bambino a leggere la Torà, il kahàl non ha adempiuto alla mitzvà di ascoltare la parashàtZachòr.
È opportuno che anche le donne si rechino al tempio per ascoltare la parashà di Zachòr.
Dopo la lettura della parashà, chi sale come maftìr deve recitare il Kaddìsh breve e leggere la haftarà di Pakadtì et ashèr ‘assà ‘Amalèk (I Shemuèl 15).
È usanza recitare il poema Mi kamòcha veèn kamòcha nello shabbàt Zachòr; non è possibile, però, recitarlo in mezzo alla preghiera, dopo Nishmàt, o nelle benedizioni dello Shemà’, ma lo si può fare dopo il KaddìshTitkabel che si recita prima di estrarre il sèfer Torà, o dopo la lettura della Torà stessa.
Il poema Mi kamòcha veèn kamòcha, che si legge generalmente dopo la ripetizione della ‘Amidà di Shachrìt, prima dell’apertura dell’Hekhàl, è un inno composto dal grande poeta rabbi Yehudà Halevì (1075-1141).
Si tratta di una parafrasi della Meghillà di Estèr.
Il poema è composto da quattro parti; la prima, dopo la frase introduttiva, riporta all’inizio di ciascuna strofa le 22 lettere dell’alfabeto ebraico in ordine. La seconda riporta, sempre in acrostico, la frase: Io sono Yehudà Halevì il piccolo (aggettivo impiegato per esprimere umiltà) figlio di Shemuèl Halevì; la terza mostra ancora le lettere dell’alfabeto, mentre nella quarta si legge: Io sono Yehudà. Ogni strofa comprende quattro versi, l’ultimo dei quali è sempre una frase biblica che termina con la parola ebraica lo (a lui, gli). I primi tre versi di ogni strofa sono in rima. L’inno è preceduto da una frase che esalta la grandezza di D-o, ripetuta nuovamente in conclusione.
Purim
La festività di Purim viene osservata ogni anno nel 14 giorno del mese ebraico di Adar, esso ricorda la miracolosa salvezza del popolo ebraico che si trovava alla mercé del malvagio Haman, in Persia.
La storia di Purim in poche parole:
Con la distruzione del primo Tempio e l’estinzione del Regno di Giuda, i nostri antenati furono mandati in esilio in Babilonia. Poco dopo, i Persiani conquistarono la Babilonia ed i paesi circostanti concedendo una certa autonomia ai loro sudditi ebrei fino al punto che Ciro, re di Persia, permise che gli Ebrei tornassero in patria, ricostruissero il Tempio e le città, e ristabilissero la loro vita nazionale e religiosa.
Nel corso di questi anni, Assuero (Achashveròsh) ascese al potere e regnò su 127 province, proibendo la continuazione della costruzione del Tempio.
Com’è riportato nella Meghillat Estèr, il suo primo ministro Hamàn decise di sterminare tutti gli ebrei residenti all’interno di queste province. Hamàn tirò a sorte il mese ed il giorno nei quali avrebbe realizzato le sue malvagie intenzioni. Da qui il nome di Purìm, che significa “le sorti”. La sorte indicò il mese di Adàr e il suo 13° giorno.
Un’ebrea, Estèr, fu scelta tra le più belle del regno per prendere il posto della regina Vashtì, giustiziata per aver rifiutato di presentarsi al cospetto del re nel corso del fastoso banchetto da lui organizzato. Mordechài, parente di Estèr nonché capo del Sinedrio (sanhedrìn – la Corte Suprema ebraica), godeva anch’esso di un’alta posizione al servizio del re.
Consigliata ed istruita da lui, Estèr intercesse in favore del popolo e denunciò il piano di Hamàn al re. In un eccesso di collera, questi ordinò che Hamàn fosse impiccato e permise agli ebrei di difendersi contro chi ne aveva voluto la distruzione. Il 14 di Adàr (il giorno seguente la data fissata da Hamàn), fu quindi scelto dai saggi come data di celebrazione per la Festa di Purìm.
Oggi come allora
La festività di Purim è stata istituita dai Rabbini e non è comandata nella Torà, anche perché la vicenda si è svolta in epoca successiva al ricevimento della Torà al Monte Sinai. Ciononostante, riveste un’importanza anche superiore rispetto alle solennità prescritte tanto che, assieme a Chanukà, sarà festeggiata anche dopo l’avvento di Mashiach. Chanukà e Purim presentano da questo punto di vista parecchie analogie, ma anche differenze.
Chanukà evoca una minaccia di natura spirituale, che incombeva sugli ebrei in Israele sotto Antioco; gli eventi di Purim invece si svolgono quando gli ebrei si trovavano in esilio e la minaccia era fisica: su suggerimento del primo ministro Hamàn, Achashveròsh re di Persia aveva firmato un decreto che sanciva l’uccisione di tutti gli ebrei. gli eventi che hanno portato alla salvezza si sono susseguiti in maniera singolare rispetto ad altre vicende che si ricordano in altre festività (Pessach ecc.):
D-o non è intervenuto in maniera eclatante e con miracoli manifesti ma ha agito in maniera nascosta, lasciando che fossero prima di tutto gli uomini del tempo a prendere l’iniziativa concreta e ad agire per salvare il popolo. Anche il tipo di festeggiamenti che caratterizzano Purim è particolare: non tanto preghiera e raccoglimento quanto festa nel senso di divertimento, maschere, cibo (la giornata di Purim ha il suo culmine nel banchetto del pomeriggio che si protrae fino a sera con cibi raffinati e vino). La parola d’ordine a Purim è proprio indugiare nei piaceri materiali.
Tutto ciò rende Purim una ricorrenza attuale e, più ancora della celebrazione di Pessach, il modello della redenzione definitiva ad opera di Mashiach. L’uscita dall’Egitto era una fuga da un luogo di schiavitù e sofferenza verso la libertà; ai tempi di Achasveròsh non è stato necessario per gli ebrei fuggire. La salvezza è giunta attraverso un capovolgimento della situazione in loco, in modo naturale.
In altre parole, D-o è intervenuto guidando vicende che si sono susseguite per anni, e agli uomini del tempo non era così agevole scorgere il miracolo. Allo stesso modo, l’avvento di Mashiach non sarà il risultato di una fuga ma ci coglierà nella città in cui viviamo, nelle nostre case; e sarà il culmine di un processo di eventi e di capovolgimenti storici e sociali che è già iniziato da tempo, ma che non è immediatamente percepibile a noi ora come “miracoloso”. Subito dopo la vicenda di Purim è cominciata la ricostruzione del secondo Bet Hamikdàsh; possano i nostri festeggiamenti di Purim culminare con l’avvento di Mashiach e la costruzione del terzo e definitivo Bet Hamikdàsh.