Roma contro Gerusalemme –  Toldot 5785

 In Dall'Ufficio Rabbinico, Parashà della Settimana

di Rav Shmuel Rabinowitz, Rabbino del Kotel e luoghi sacri in Israele

Tradotto ed adattato da David Malamut

Vent’anni di sterile attesa giungono al termine all’inizio della nostra Parasha, quando Dio risponde alle preghiere di Isacco, e Rebecca concepisce. Tuttavia, la gravidanza di Rebecca è straordinariamente difficile e lei teme per la vita del bambino. Cerca la guida divina e Sem, il figlio di Noè che trasmette la parola di Dio, le dice che sta portando in grembo due gemelli: due nazioni che incarneranno visioni del mondo opposte e lotteranno per governarsi a vicenda.

Rabbi Chaim ibn Attar (1696–1743, Marocco–Gerusalemme), nel suo stimato commentario Ohr HaChaim, sottolinea:

<<Questa gravidanza è stata diversa dalle altre, perché qualsiasi gravidanza gemellare naturale implica armonia e disposizione condivisa, come è scritto, “gemelli cerbiatti di gazzella”… Ma la tua gravidanza è diversa. Questi gemelli sono fondamentalmente opposti l’uno all’altro, al punto che anche nel grembo materno non possono coesistere pacificamente, poiché le loro indole e la loro natura sono completamente distinte”>>

La profonda differenza tra i gemelli Giacobbe ed Esaù non è radicata nella genetica o nell’educazione. Rappresentano piuttosto due poli opposti che non possono coesistere, nemmeno durante i nove mesi di gravidanza.

Questo contrasto diventa evidente alla nascita: Esaù emerge per primo, completamente formato e pronto all’azione, un uomo orientato verso gli impegni mondani. Giacobbe, al contrario, emerge afferrando il calcagno di Esaù, come se cercasse un punto d’appoggio per entrare nel mondo.

Man mano che i ragazzi crescono, il divario tra loro si allarga. Esaù diventa un uomo di campo: mondano, energico, conquistatore ed espandendo il suo dominio. Giacobbe, d’altro canto, abita in tenda, dedito alle attività spirituali e alla crescita intellettuale.

Migliaia di anni dopo, i discendenti di questi due fratelli si affrontano: Roma, che rappresenta Esaù (Edom), e Gerusalemme, che rappresenta Giacobbe. Queste due civiltà offrono visioni fondamentalmente diverse. Roma, in quanto Impero Romano, si espande ben oltre l’Europa, rimodellando il mondo per adattarlo alle sue esigenze e dominando senza restrizioni.

Al contrario, Gerusalemme è una città dello spirito, guidata da profeti e giudici che enfatizzano la compassione e l’interesse per gli altri. È una città che santifica la materia, dedita al servizio di Dio. Gerusalemme non ha ambizioni imperiali; la sua aspirazione ad essere una città globale è radicata esclusivamente nel Tempio, come pregò il re Salomone dedicandolo:

<<Tenendo gli occhi aperti notte e giorno su questa Casa, su questo luogo, di cui dicesti: Il mio nome sarà quivi, (e) dando ascolto alla preghiera con cui il tuo servo ti pregherà in questo luogo>> (I Re 8, 29)

Nonostante siano trascorse migliaia di anni, la dicotomia tra la metaforica Roma e Gerusalemme persiste nel nostro mondo: forza contro intelletto, materialismo contro spiritualità. Roma esalta il potere fisico, la ricchezza e la grandezza. Gerusalemme, d’altro canto, cerca di diffondere saggezza, amore per l’umanità e compassione per i deboli.

Questa tensione tra gli eroi di Roma e i saggi di Gerusalemme non durerà per sempre. Il profeta Obadià, un tzadik, un giusto, convertito proveniente da Edom, della stirpe di Esaù, profetizzò la soluzione di questa lotta. Nella sua breve profezia (un unico capitolo di 21 versetti), affronta la tensione persistente tra i fratelli gemelli Giacobbe ed Esaù, concludendo con questo versetto:

<<Liberatori saliranno al monte di Sion, per pronunziar sentenza intorno al monte di Esaù; e la sovranità apparterrà al Signore>> (Obadià 1, 21)

Nella futura redenzione assisteremo alla conclusione di questa storia, iniziata nella casa di Isacco e Rebecca e che attraversa i continenti tra Roma e Gerusalemme. Culminerà nel trionfo dello spirito sulla potenza e nella rivelazione della sovranità di Dio nel mondo.

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