Qual è il tema dei racconti del Libro della Genesi?

 In Dall'Ufficio Rabbinico, Parashà della Settimana

di Rabbino Lord Jonathan Sacks zt”l

tradotto ed adattato da David Malamut

Una delle domande più fondamentali sulla Torah risulta essere una delle più difficili a cui rispondere. Qual è il principio religioso fondamentale che viene insegnato, dalla chiamata di Dio ad Abramo in Genesi capitolo 12 fino alla morte di Giuseppe in Genesi capitolo 50? Cosa ci dice in realtà l’intera serie di storie su Abramo, Isacco e Giacobbe e le loro mogli, insieme ai figli e alla figlia di Giacobbe? Abramo portò il monoteismo in un mondo che lo aveva dimenticato, ma dove lo vediamo nel testo stesso della Torah?

Ecco il problema: i primi undici capitoli della Genesi ci insegnano molti concetti di base della fede: che Dio creò l’universo e lo dichiarò buono; che Dio ha creato la persona umana a Sua immagine; che Dio ci ha dato il libero arbitrio e quindi la capacità di fare non solo il bene ma anche il male; che il bene viene premiato, che il male è punito e che siamo moralmente responsabili delle nostre azioni. I capitoli 8 e 9 ci dicono anche che Dio ha stretto un’alleanza con Noè e, attraverso lui, con tutta l’umanità.

È altrettanto facile dire, in breve, ciò che il resto della Torah, dall’Esodo al Deuteronomio, ci insegna: che Dio ha liberato gli Israeliti dalla schiavitù, avviandoli sulla strada della libertà e della Terra Promessa; che Dio fece un patto con il popolo nel suo insieme sul Monte Sinai, con i suoi 613 comandamenti e il Suo scopo, per istituire e instaurare Israele come un regno di sacerdoti e una nazione santa. In breve, Genesi capitoli da 1 a 11 riguarda la creazione. Dall’Esodo al Deuteronomio riguarda la rivelazione e la redenzione. Ma di cosa parlano nei capitoli da 12 a 50 della Genesi?

Abramo, Isacco e Giacobbe riconoscono tutti Dio. Lo stesso vale per i non-ebrei come Malkissèdek, contemporaneo di Abramo, che viene descritto come un “sacerdote del Dio altissimo” (Genesi 14, 18). Così fa anche il Faraone dei tempi di Giuseppe, che dice di lui:

<< Faraone disse ai suoi ministri: Potremmo noi trovare un uomo simile, dotato di uno spirito divino?>> (Genesi 41, 38)

Dio parla ad Abramo, Isacco e Giacobbe, ma fa la stessa cosa con Abimèlech re di Gherar (Genesi 20, 3-7), e con Lavàn (Genesi 31, 24).

Allora cosa hanno di così speciale i patriarchi?

Sembra che non insegnino niente di nuovo nel concetto di fede. A parte il parto dei figli e il salvare le persone dai pericoli, Dio non compie, di per sé, miracoli che trasformino il mondo attraverso di patriarchi. I patriarchi, di fatto, non consegnano profezie alle persone della loro generazione. Inoltre, a parte un accenno ambiguo quando la Torah dice che Abramo e Sara portarono nel loro viaggio “pure le (anime) persone [di servizio] ch’eransi procacciate in Hharàn” (Genesi 12, 5), che può riferirsi alle persone convertite da loro, ma può anche riferirsi semplicemente ai loro servi, che non attiravano discepoli. Non c’è nulla di esplicito nel testo che affermi che cercarono di persuadere le persone sulla verità del monoteismo o che combatterono contro l’idolatria. Al massimo esiste una storia su come Rachele rubò i Terafim di suo padre (Genesi 31, 19), che potevano o meno essere stati idoli.

A dire il vero, un tema persistente delle storie patriarcali sono le due promesse che Dio fece a ciascuno di loro, vale a dire che avrebbero avuto molti discendenti e che avrebbero ereditato la terra di Canaan. Ma Dio fa delle promesse anche a Ismaele ed Esaù, e la Torah sembra fare di tutto per dirci che queste promesse furono adempiute prima che si realizzassero le promesse per i figli dell’alleanza. Riguardo ai figli di Esaù, ad esempio, si dice:

<< Questi poi sono i re che regnarono nella terra di Edòm, innanzi che i figli d’Israel avessero alcun re >> (Genesi 36, 31)

Quindi, la domanda posta in precedenza è reale e sconcertante, veramente incomprensibile. Cosa c’era di così diverso nei patriarchi della Genesi da dedicare loro così tanti capitoli? Quale nuovo componente hanno portato al mondo? Che differenza fece il monoteismo ai loro tempi?

Una risposta c’è, ma è inaspettata. Un tema appare non meno di sei (forse anche sette) volte. Ogni volta che un membro della famiglia dell’alleanza lascia il proprio spazio ed entra nel mondo più ampio dei suoi contemporanei, incontra un mondo di libertà sessuale per tutti.

Per tre volte Abramo (Genesi 12 e Genesi 20) e Isacco (Genesi 26) sono costretti a lasciare la casa a causa della carestia. Due volte vanno a Gherar. Una volta che Abramo va in Egitto. In tutte e tre le occasioni il marito teme di essere ucciso affinché il sovrano locale possa accogliere la moglie nel suo harem. Tutte e tre le volte hanno raccontato che la loro moglie è in realtà la loro sorella. Nel peggiore dei casi questa è una bugia, nel migliore dei casi una mezza verità. In tutti e tre i casi il sovrano locale (Faraone, Abimèlech), protesta per il loro comportamento quando la verità esce allo scoperto. Chiaramente, la paura della morte era reale, altrimenti i patriarchi non sarebbero stati complici dell’inganno.

Nel quarto caso, Lot che si trova a Sodoma (Genesi 19), il popolo si accalca intorno alla casa sua chiedendogli di far uscire i suoi due visitatori ospiti affinché possano essere violentati. Lot invece offre loro le sue figlie vergini. Solo l’azione rapida dei visitatori, ricordando che erano affatto degli angeli, che colpiscono le persone con la cecità, salva Lot e la sua famiglia dalla violenza.

Nel quinto caso (Genesi 34), Sichem, un principe locale, violenta e rapisce Dina quando lei “è andata a trovare alcune ragazze del posto”. La tiene in ostaggio, costringendo Shimon e Levi a praticare l’inganno e lo spargimento di sangue nel tentativo di salvarla e vendicare il suo rapimento.

Poi avviene un caso marginale (Genesi 38), la storia di Giuda e Tamar, più complessa delle altre e non inserita nello schema complessivo. Infine, c’è il sesto episodio, nella parasha di questa settimana, quando la moglie di Potifar tenta di sedurre Giuseppe. Fallendo, lo accusa di stupro e lo fa imprigionare.

In altre parole, c’è un tema ricorrente in Genesi capitoli 12-50, un contrasto tra il popolo dell’alleanza abramitica e i suoi vicini, ma non si tratta di idolatria, bensì di adulterio, promiscuità, licenza sessuale, seduzione, stupro e violenza a sfondo sessuale.

La narrativa patriarcale è sorprendentemente vicina alla visione di Freud. Secondo lui, l’eros è uno dei due istinti primordiali che governano il comportamento umano (l’altra è thanatos, l’istinto di morte). La stessa narrativa patriarcale, stando a uno psicologo evoluzionista (David M. Buss, nei suoi libri The Evolution of Desire e The Murderer Next Door) il sesso è la principale causa di violenza tra gli esseri umani.

Questo ci dà un modo completamente nuovo di pensare alla fede abramitica. Emunah, la parola ebraica normalmente tradotta come fede, non significa ciò che si intende in inglese: un corpo di dogmi, un insieme di principi o un insieme di credenze spesso sostenute su basi non razionali. Emunah significa fedeltà, lealtà, devozione, onorare i propri impegni, fare ciò che hai detto che avresti fatto e agire in modo tale da ispirare fiducia. Ha a che fare con le relazioni, innanzitutto con il matrimonio.

Il sesso appartiene, per la Torah, al contesto del matrimonio, ed è il matrimonio che si avvicina di più alle risonanze profonde dell’idea biblica di alleanza. Un’alleanza è un atto di impegno reciproco in cui due persone, onorando le loro differenze, rispettando ciascuna la dignità dell’altra, si uniscono in un legame d’amore per unire i loro destini e tracciare insieme un futuro. Quando i profeti vogliono parlare del rapporto di alleanza tra Dio e il suo popolo, utilizzano costantemente la metafora del matrimonio.

Il Dio di Abramo è il Dio dell’amore e della fiducia che non impone la Sua volontà con la forza o la violenza, ma ci parla con gentilezza, invitando una risposta di amore e fiducia. L’argomentazione della Genesi contro l’idolatria, tanto più impressionante perché raccontata indirettamente, attraverso una serie di storie e vignette, è quella che conduce a un mondo in cui la combinazione di desiderio sessuale incontrollato, l’assenza di un codice di autocontrollo morale, e il culto del potere porta infine alla violenza e all’abuso.

Che la violenza domestica e gli abusi esistano ancora oggi, anche tra gli ebrei ultraortodossi, è una disgrazia, un vero obbrobrio e fonte di vergogna. A ciò si contrappone la testimonianza della Genesi secondo cui la fedeltà a Dio significa, ed esige, fedeltà verso i nostri coniugi. La fede, sia tra noi e Dio o tra noi e i nostri prossimi, significa amore, lealtà e circoncisione del desiderio.

Ciò che le storie dei patriarchi e delle matriarche ci dicono è che la fede non è una proto- scienza oppure pseudo- scienza, ma una spiegazione del perché l’universo naturale è così com’è. È il linguaggio delle relazioni e la coreografia dell’amore. Riguarda l’importanza del legame morale, in particolare, perché tocca le nostre relazioni più intime. La sessualità è importante per l’ebraismo, non perché sia ​​puritana, ma perché rappresenta l’amore che porta una nuova vita nel mondo.

Quando una società perde la fede, alla fine perde l’idea stessa di un’etica sessuale, e il risultato a lungo termine è la violenza e lo sfruttamento degli impotenti da parte dei potenti. Le donne soffrono. I bambini soffrono. C’è una rottura della fiducia dove conta di più. Così era ai tempi dei patriarchi. Purtroppo, oggi è ancora così. Il giudaismo, al contrario, è la santificazione della relazione, l’amore tra marito e moglie che è quanto di più vicino potremo mai arrivare a comprendere l’amore di Dio per noi.

 

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