Purim 5785  – Chiedere senza logica

 In Dall'Ufficio Rabbinico

di Rav Shmuel Rabinowitz, Rabbino del Kotel e luoghi sacri in Israele

tradotto ed adattato da David Malamut

A Purim, oltre a tutti gli altri comandamenti, c’è una mitzvah di ubriacarsi leggermente, di bere fino al punto di perdere la ragione. Questa è una cosa che gli ebrei non fanno durante tutto l’anno. Come hanno detto i nostri saggi: si deve bere “finché non si riesce a distinguere tra ‘Maledetto sia Haman‘ e ‘Benedetto sia Mordechai“. Ma perché? Perché Purim ci insegna ad aspettare la salvezza anche quando si tratta di una sfida della logica e anche quando potremmo non meritarla proprio. L’intero miracolo di Purim era illogico, completamente al di là della comprensione razionale.

Purim ci insegna ad affrontare la preghiera non in termini di “ricompensa e punizione” (n.t. in italiano possiamo associare il concetto di “il bastone e la carota”), ma come un bambino che chiede a un padre ciò che gli manca: “Padre, lo voglio!“, senza fare conti e senza condizioni. Proprio come un padre dà al figlio ciò che chiede, perché un bambino piccolo non ha nessuno su cui contare se non suo padre.

La regina Ester arrivò al palazzo del re in un momento in cui la maggior parte del popolo ebraico aveva peccato. Si erano prostrati all’idolo e avevano goduto della festa di Assuero. Secondo il Talmud, queste erano le ragioni per cui erano stati condannati alla distruzione. Mordechai era l’unico che rimase fedele a Dio. Lui solo si oppose ad Haman e all’idolatria che Haman attribuiva a sé stesso. Nemmeno i suoi compagni saggi del Sinedrio lo sostennero.

Quindi, quando Ester si presentò davanti a Dio e pregò per il popolo ebraico, non aveva meriti su cui fare affidamento. Si presentò davanti al Creatore e disse: Abbiamo bisogno della salvezza, e solo Tu puoi aiutarci. Hai ragione quando dici che non la meritiamo, ma non abbiamo nessun altro a cui chiedere, solo a Te.

Nel Libro dei Salmi, c’è un capitolo che Ester recitò quando pregò Dio durante il decreto di Haman di distruggere il popolo ebraico:

<<Dio mio, Dio mio, perché mi hai lasciato?>> (Salmi 22, 2)

Questo è un grido che nasce dal dolore: Padre! Tu sei mio padre! Perché mi hai abbandonato?

Più avanti nello stesso capitolo, Ester supplica:

<<Riscuoti l’anima mia dalla spada, l’unica mia dalla branca del cane. Salvami dalla gola del leone…>> (Salmi 22, 21-22)

Il Talmud (trattato Megillah pagina 15b) spiega che quando Ester si riferì ad Assuero come a un “cane“, la Presenza Divina la abbandonò. Non capì perché e disse:

Forse perché l’ho chiamato cane? Si corresse immediatamente e si riferì a lui come a un “leone“, dicendo: “Salvami dalla bocca del leone“.

Ester si rese conto di aver fallito nella sua preghiera e si corresse immediatamente. Questa è la lezione essenziale che Ester ci insegna sulla preghiera.

Cosa fa una persona quando un grosso cane si avvicina, minacciando di attaccare? Cerca di combatterlo, raccogliendo una pietra, un bastone, usando la sua forza. Se ci riesce, continua per la sua strada. Ma se fallisce, grida: Dio, aiutami! Non ce la faccio! Questa reazione è appropriata quando ci si trova di fronte a un cane.

Ma cosa succede se una persona vede all’improvviso un leone che gli carica addosso? Non raccoglie una pietra o un bastone. Contro un leone non ha scampo. Immediatamente urla: Dio, salvami! Questo è un leone!

Ester capì che ci sono situazioni in cui la preghiera deve essere pura e sincera, affidandosi solo a Dio. Una preghiera del genere è efficace, anche quando non la meritiamo, perché quando ci affidiamo completamente a Lui, senza fare conti, anche Dio non fa i suoi conti.

Questo è il dono di Ester per noi a Purim: mettere da parte la nostra logica e razionalità, non importa cosa abbiamo fatto o non siamo riusciti a fare in passato. Stare davanti a Dio in completa umiltà e chiedere, perché Lui è nostro Padre, perché solo Lui può aiutarci!

A Purim, ci eleviamo al di sopra della logica. Stare davanti al nostro Padre Celeste e gridare: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?

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