Protesta contro la morte – Parashat Chukat
di Rav Shmuel Rabinowitz, Rabbino del Kotel e luoghi sacri in Israele
Tradotto ed adattato da David Malamut
La prima parte della parashat “Chukat” tratta di un rituale unico per la purificazione dall’impurità della morte. A una persona che ha toccato un cadavere, o anche solo è stata sotto lo stesso tetto di una persona morta, è severamente vietato entrare nel Tempio o toccare i sacrifici. Per entrare nell’area sacra è necessario sottoporsi al rito dell’aspersione di “mei chatat” – acqua che purifica dall’impurità della morte.
Come tutti i comandamenti e i rituali nel campo del culto, questo rituale può sembrare strano e fuori luogo agli occhi di chi proviene da una cultura occidentale. Tuttavia, come tutti questi comandamenti e rituali, anche questo ha profonde basi simboliche che esprimono idee, visioni del mondo e valori. Per noi, finché non avremo una giovenca rossa, la famosa “vacca rossa”, queste leggi non potranno essere attuate, ma i valori e i principi al loro interno continuano a parlarci.
Allora, di cosa si tratta i “mei chatat” e come si collegano con la morte? Si comincia prendendo una giovenca rossa che ha due attributi interessanti: è perfetta, senza alcuna macchia; e non è mai stato utilizzato per lavoro né vi è stato posto nulla sopra di essa. La giovenca viene macellata e bruciata fuori Gerusalemme, e le ceneri rimanenti vengono mescolate con “acqua viva”. Queste acque sono “mei chatat” da cui si aspergono coloro che sono diventati impuri a causa del contatto con i morti, purificandoli e permettendo loro di avvicinarsi al Tempio o ai sacrifici.
Chiaramente, questo è un complesso sistema di simboli. Ma per coglierlo, anche con un breve sguardo, bisogna chiedersi quale sia la posizione dell’ebraismo nei confronti della morte. Dopotutto, questo è l’argomento in questione: l’impurità della morte e la purificazione da essa.
L’ebraismo ha una prospettiva sorprendente sulla morte. Il Libro della Genesi racconta che l’uomo non doveva incontrare la morte e solo a causa del peccato del primo uomo (Adamo e Chava) fu condannato a porre un limite, una fine alla propria vita. In sostanza, l’uomo è intrinsecamente immortale. La morte è un malfunzionamento. Un malfunzionamento a cui non si può sfuggire, ma che non va nemmeno accettato.
Il profeta Isaia esprime chiaramente questa posizione quando profetizza e descrive un futuro utopico (Isaia 25, 8):
<<Egli abisserà la morte in eterno; e il Signore Iddio asciugherà le lagrime d’in su ogni faccia, e torrà via l’onta del suo popolo d’in su tutta la terra; perciocchè il Signore ha parlato.>>
La morte non è legittima e, anche se non abbiamo altra scelta che sottometterci ad essa, poiché queste sono le leggi della natura, ciò non significa che dovremmo accettarla.
Dove si manifesta questo atteggiamento verso la morte? Proprio negli ambiti della santità: del Tempio e dei sacrifici. Una persona che si è avvicinata alla morte e l’ha toccata deve mantenere le distanze dai regni della santità. La tendenza umana a idealizzare la morte costringe l’ebraismo a fissare un limite, un confine chiaro e netto: la morte non si avvicina mai al sacro!
Come può allora una persona avvicinarsi alla santità dopo essersi avvicinata alla morte?
La persona deve sottoporsi a un processo in cui “sottomette”, “sconfigge” simbolicamente la morte. A questo scopo viene presa una giovenca rossa – il colore rosso non è scelto a caso. Simboleggia la forza della vita. Questa giovenca è simbolo di vita e di libertà, anche perché perfetta e senza alcun difetto, e anche perché non è mai stata utilizzata per il lavoro. Dopo essere stato macellato e bruciato, il potente simbolo della vita diventa un simbolo di morte: più intensa è la vita, più evidente sarà la morte quando la stessa vita viene interrotta.
E questa cenere è mescolata con “acqua viva” – acqua proveniente da una sorgente, fresca e pulita. Queste acque mescolate alle ceneri prendono un significato particolare, quella una vittoria simbolica della vita sulla morte. Dopo aver affrontato la morte, la facciamo rivivere e creiamo una sorta di “resurrezione”, esprimendo così il nostro atteggiamento nei confronti della morte – una sorta di atteggiamento di protesta.
Solo da una visione del mondo di fede nella vita e di protesta contro la morte una persona può avvicinarsi alla santità.