Permettere l’errore – Parshat Devarim
di Rav Shmuel Rabinowitz, Rabbino del Kotel e luoghi sacri in Israele
tradotto ed adattato da David Malamut
Il Libro di Devarim (Deuteronomio), il quinto dei cinque libri della Torah, che inizieremo a leggere questo Shabbat, è composto principalmente da discorsi pronunciati da Mosè prima di separarsi dalla nazione. Come sappiamo, Mosè è stato condannato di non poter entrare nella terra di Canaan, ma solo “guardarla da vicino/lontano”. Il popolo si accampò nelle pianure di Moab, sulla sponda orientale del fiume Giordano, di fronte a Gerico ubicata sulla sponda occidentale del fiume, aspettando l’indicazione di attraversare il Giordano verso ovest ed entrare nella Terra Promessa, la terra di Canaan.
Il primo discorso di Mosè è storico. Sintetizza al popolo descrivendo e riprendendo i principali eventi accaduti durante i quarant’anni di peregrinaggio nel deserto e li invita a trarne le lezioni appropriate. Una delle storie che Mosè racconta nel suo discorso è quella delle spie, i famosi esploratori, storia di cui leggiamo in dettaglio nella Parashat Shelach nel Libro dei Numeri.
Mosè racconta (Deuteronomio 1, 22-23):
<<Ma voi vi presentaste a me tutti, e diceste: Permetti che mandiamo innanzi a noi alcuni uomini, ch’esplorino per noi il paese, e ci rechino risposta; (esplorino cioè) la via per cui dobbiamo andare, e le città ove dobbiamo recarci. La cosa mi piacque, e presi tra voi dodici uomini, uno per ogni tribù.>>
Sulla frase “la cosa mi piacque”, Rashi riporta le parole del Sifri (un midrash tannaitico della Terra d’Israele del terzo secolo). I saggi del midrash interpretano la parola “a me” nel modo seguente: “a me – ma non a Dio”. Cioè, l’idea era buona agli occhi di Mosè ma non agli occhi di Dio. Tuttavia, quando torniamo al Libro dei Numeri e leggiamo la storia intera, scopriamo che Dio effettivamente acconsentì all’invio degli esploratori nella terra di Canaan. Lì è descritto come segue (Numeri 13, 1-3):
<<Ed il Signore parlò a Mosè, con dire: Manda pure alcuni uomini, ch’esplorino il paese di Canaan, ch’io sono per dare ai figli d’Israel. Manderete un uomo per ogni tribù paterna, dei quali ognuno sia principale, tra i suoi. E Mosè li mandò dal deserto di Paràn, per ordine del Signore; tutti uomini (distinti), primarj tra i figli d’lsrael.>>
Perché Dio ha accolto la richiesta del popolo, cosa che non era buona ai Suoi occhi? Perché non comandò a Mosè di dare al popolo una risposta chiara che proibisse loro di fare un passo, che in seguito avrebbe potuto danneggiarli?
Come in molte storie che descrivono la relazione tra Dio e il popolo di Israele, questa storia ci insegna anche la giusta relazione tra un genitore o insegnante e un bambino o uno studente. Questo paragone è consentito alla maniera di Maimonide, il grande legalista e filosofo ebreo, il quale sosteneva fermamente che una persona in una posizione di leadership deve osservare le vie di Dio e dedurre da esse come comportarsi in varie situazioni.
Ebbene, Dio non era soddisfatto della richiesta del popolo di inviare spie nella terra di Canaan, tuttavia concesse il Suo consenso a questo atto. Cosa possiamo imparare da questo?
Molte volte, genitori o educatori si trovano ad affrontare una situazione simile. Il figlio, la figlia o lo studente vuole fare qualcosa che all’adulto sembra una follia, magari anche qualcosa che potrebbe fargli del male, e l’adulto tende a impedire al bambino o al giovane di agire secondo la sua volontà.
Ma come potrà il giovane apprendere nel modo giusto se non sperimenta errori? Dopotutto, noi, genitori o educatori, non possiamo proteggere per sempre i nostri studenti o bambini e impedire loro di commettere errori. Dobbiamo imparare dalla risposta di Dio alla richiesta del popolo: Egli accettò anche se non era soddisfatto della richiesta. Dio ha preferito permettere alle persone di commettere un errore piuttosto che costringerle sulla retta via. Solo così la gente poteva imparare a non sbagliare. Questo è ciò che ci insegna da generazioni la storia degli esploratori.