Perché gli Israeliti non vennero al Tempio di Gerusalemme? – Parashat Re’eh
di Rav Shmuel Rabinowitz, Rabbino del Kotel e luoghi sacri in Israele
tradotto ed adattato da David Malamut
Abbiamo appena superato il periodo delle “Tre Settimane” (ימי בין המצרים), che si è concluso con il digiuno di Tisha B’Av. In questo tempo ci siamo concentrati sul vuoto che ancora esiste nella realtà nazionale del popolo ebraico: l’assenza del Tempio. E ora, nella Parasha della Torah di questa settimana, incontriamo nuovamente questo argomento, ma questa volta da una prospettiva positiva e persino gioiosa. Nella Parasha di Re’eh leggiamo del principio della “centralizzazione del culto”: agli Israeliti, che si preparano ad entrare in Terra d’Israele, è vietato stabilire ovunque templi, altari e luoghi di culto, ma solo “nel luogo che il Signore tuo Dio sceglierà” (Deuteronomio 12, 2-6).
<<Distruggerete tutti quei luoghi [altari, templi ecc.], dove le nazioni che conquisterete prestavan culto ai loro dèi; (luoghi situati per lo più) sugli alti monti, e sopra le colline, o sotto qualche albero fronzuto. Demolirete i loro altari, spezzerete le loro lapide, i loro boschi sacri abbrucerete, ed i simulacri dei loro dèi taglierete; e farete sparire il loro nome [cioè degli dèi] da quei luoghi. Non farete poi così [come fanno quei popoli, nel prestar culto] al Signore, Iddio vostro [cioè: non gli ergerete altari qua e là]. Ma (voi vi recherete) unicamente a quel luogo, ch’il Signore, Iddio vostro, scerrà fra tutte le vostre tribù, per collocarvi il suo nome [il suo culto]; chiederete del (luogo ove sia) la sua residenza, e quivi andrete. E porterete colà i vostri olocausti, e gli altri vostri sacrifizi, le vostre decime, e gli altri vostri tributi, e i voti vostri, e le vostre offerte, ed i primogeniti del vostro grosso e minuto bestiame;>>
…e continua (Deuteronomio 12, 11-14)
<<Allora in quel luogo ch’il Signore, Iddio vostro, sceglierà, per fissarvi la sede del suo nome [del suo culto], là porterete tutto quello ch’io vi comando, i vostri olocausti e gli altri vostri sacrifizi, le vostre decime, e gli altri vostri tributi, e qualunque prescelta cosa, di cui avrete fatto voto al Signore. E gioirete davanti al Signore, Iddio vostro, voi e i figli vostri e le figlie vostre, e i vostri servi e le vostre serve, ed il Levita ch’è nelle vostre città, poiché non ha porzione e retaggio con voi. Bada bene, che tu non faccia i tuoi olocausti in ogni luogo che ti sembrasse opportuno. Ma nel solo luogo ch’il Signore sceglierà, in una delle tue tribù, ivi immolerai i tuoi olocausti, ed ivi farai tutto ciò ch’io ti comando.>>
I Cananei avrebbero adorato i loro idoli sulle vette delle montagne, e avrebbero santificato alberi prominenti ed alti come luoghi di culto. Agli Israeliti fu comandato di non adottare la cultura di culto cananea ma di designare un luogo specifico dove sarebbe stato costruito il Tempio, e solo lì avrebbero potuto offrire sacrifici. Alla fine, fu il re Salomone a costruire il Tempio di Gerusalemme, come ampiamente dettagliato nel Primo Libro dei Re.
Ma questo comandamento è stato osservato correttamente? Gli Israeliti offrivano davvero sacrifici solo nel Tempio di Gerusalemme? I libri dei profeti, insieme ai reperti archeologici, raccontano una storia diversa: a parte brevi periodi durante i regni di re Ezechia e re Giosia, il culto ebraico si svolgeva in tutto il paese, sugli altari e nei templi. Si scopre che ci furono grandi difficoltà nell’adempiere al comando di centralizzare il culto in un solo tempio. La domanda è: perché è stato così difficile per i nostri antenati obbedire al comandamento che proibiva di offrire sacrifici in tutto il paese?
Sorprendentemente, la risposta può essere trovata nelle parole di un funzionario assiro di nome Rabshakeh. Nel 701 a.C., Sennacherib, re d’Assiria, intraprese una campagna di conquiste nella regione della Terra d’Israele, distruggendo gran parte del Regno di Giuda ad eccezione della capitale, Gerusalemme, dove rimase il re Ezechia. Questa campagna è documentata nella Bibbia, nel “Prisma di Sennacherib” (una cronaca assira), e visivamente nei famosi “Rilievi di Lachis” (תבליטי לכיש), trovati nel palazzo di Sennacherib nella città di Ninive.
Sennacherib inviò Rabshakeh, il funzionario assiro, per persuadere gli abitanti di Gerusalemme a deporre le armi e ad arrendersi all’esercito assiro. Il “discorso di Rabshakeh”, pronunciato davanti alle mura di Gerusalemme, è un antico documento di guerra psicologica professionale. Nel suo discorso, Rabshakeh si è rivolto ai soldati sul muro, dicendo quanto segue (Secondo Libro dei Re 18, 22):
<<E se mi direte: Nel Signore nostro Do confidiamo, è pur egli quel desso, di cui Ezechìa tolse i templi e gli altari, dicendo alla Giudea ed a Gerusalemme: Dinanzi a questo (solo) altare in Gerusalemme vi prostrerete!>>
Rabshakeh ha sottolineato una prospettiva opposta a quella trovata nella Parasha della Torah di questa settimana. Secondo lui, centralizzare il culto a Gerusalemme significava anche limitare il culto, e sicuramente Dio si sarebbe arrabbiato per questo! Sembra che questo fosse il pensiero degli antichi Israeliti che non obbedirono al comando di centralizzare il culto nel “luogo che il Signore sceglierà”. Sentivano che questo comando li allontanava dal servizio di Dio poiché potevano offrire sacrifici solo a Gerusalemme. Da questa prospettiva comprensibile e con la buona intenzione di avvicinarsi continuamente a Dio, hanno commesso un errore e non hanno seguito le leggi della Torah.
Questa è solo una delle storie in cui un esame attento, e talvolta un dettaglio apparentemente banale, rivela che dietro un’azione impropria si nasconde un’intenzione buona e desiderabile. Dobbiamo imparare da questo a non giudicare severamente una persona che non agisce correttamente, ma a considerare la buona intenzione che la sta motivando di fare. D’altra parte, siamo chiamati a bilanciare le buone intenzioni con il rispetto della legge – le buone intenzioni non consentono azioni proibite!