Per Kamtza e Bar Kamtza Gerusalemme fu distrutta.
Rabbi Johanan disse: “Quale è il significato del verso ‘felice è l’uomo che è sempre temente, ma chi indurisce il suo cuore cade nel male’? Per Kamtza e Bar Kamtza Gerusalemme fu distrutta.
[…] Un tale aveva un amico chiamato Kamtza e un nemico chiamato Bar Kamtza. L’uomo fece una festa. Disse al suo servo: “Va e portami Kamtza”. Il servo gli portò Bar Kamtza. Quando il padrone di casa lo trovò seduto gli disse: “Ehi, aspetta un po’. Tu sei mio nemico. Cosa ci fai qui? Alzati e vattene!”.
L’altro disse: “Dal momento che sono qui, fammi restare e pagherò per quello che mangerò e berrò”. Il padrone di casa disse: “No”. Bar Kamtza disse: “Pagherò la metà dell’intera festa”. Il padrone di casa disse: “No!”. Bar Kamtza disse: “Pagherò per l’intera festa”. Il padrone di casa disse: “No!” e lo prese per la mano e lo sbatté fuori. Disse allora Bar Kamtza: “Dal momento che i rabbini erano presenti e non lo hanno fermato, significa che erano d’accordo con lui. Informerò il Governo.
Disse all’imperatore: “Gli Ebrei si sono ribellati a te”. L’imperatore disse: “Chi lo dice?”. Bar Kamtza gli disse: “Manda loro un animale in offerta e guarda se lo sacrificheranno”.
L’imperatore diede nelle mani di Bar Kamtza un vitello adatto al sacrificio. Lungo il tragitto Bar Kamtza fece una graffio sul labbro superiore del vitello, (o come alcuni dicono sul suo occhio, in un posto in cui per noi ebrei un animale non è più adatto al sacrificio), mentre per loro Romani non importa.
I Rabbini volevano offrirlo comunque, per restare in pace con il Governo. R. Zachariah ben Abkulas disse loro: Si dirà che si sacrificano animali difettosi”. Allora i Rabbini volevano uccidere Bar Kamtza così non avrebbe riportato all’imperatore”. R. Zacharia ben Abkulas disse: “Si dirà che chi intenzionalmente rende difettoso un animale destinato al sacrificio deve essere messo a morte”. R. Yochanan dice: “la modestia di R. Zachariah ben Abkulas ha causato la distruzione della nostra Casa, il rogo del nostro Tempio e il nostro esilio dalla nostra terra”.
Talmud Ghitìn 55
(traduzione Chabad)