Parashat Miketz

 In Dall'Ufficio Rabbinico, Parashà della Settimana

(A) Chi stiamo pregando? – Parashat Miketz

di Rav Shmuel Rabinowitz, Rabbino del Kotel e luoghi sacri in Israele

tradotto da David Malamut

La parasha di questa settimana, la parasha di Miketz, approfondisce la storia di Giuseppe e dei suoi fratelli iniziata nella parasha precedente (Vayeshev). All’inizio leggiamo dell’ascesa al potere di Giuseppe in Egitto e della sua nomina a viceré, quindi una carica a secondo dopo il re stesso. Successivamente la storia si fa più intricata quando Giacobbe manda i suoi figli dalla terra di Canaan in Egitto per acquistare grano a causa della carestia che colpì l’intera regione.

Quando i fratelli si presentano davanti a Giuseppe, responsabile delle riserve di grano dell’Egitto, lui si comporta come uno estraneo, li accusa di spionaggio, trattiene Simeone e rimanda il resto dei fratelli a Canaan con il grano che avevano acquistato. Il piano di Giuseppe si svela man mano che la storia procede. Per ora i suoi fratelli tornano alle loro case in Canaan con le provviste acquisite, ma portando con loro anche le difficoltà sofferte in Egitto.

In seguito, quando il grano portato dall’Egitto finisce, i fratelli cercano di tornare in Egitto per acquistarne dell’altro. Tuttavia, incontrano un dilemma: il sovrano egiziano che li ha accusati di spionaggio, niente meno che Giuseppe stesso, condiziona il loro ritorno a portare con loro Beniamino, il fratello più giovane, in Egitto. Temono giustamente che portare Beniamino in Egitto non finirà bene, e il loro padre Giacobbe si oppone. È giustamente preoccupato che, oltre a perdere Giuseppe, per il quale Giacobbe non smette mai di piangere, perderà pure Beniamino. Quindi, Giacobbe è preoccupato che entrambi i figli della sua amata moglie Rachele andranno “persi”. Solo l’intervento di Giuda e le garanzie che offre, che mantiene come potremmo vedere successivamente, convincono Giacobbe ad accettare di mandare Beniamino in Egitto con i suoi fratelli.

Giacobbe ordina loro di organizzare e portare un dono per il sovrano egiziano, aggiungendo una preghiera (Genesi 43,14): “Ed El Shaddai (Iddio onnipotente) inspiri a quell’uomo pietà verso di voi“. L’uso del nome “El Shaddai” è raro nella Bibbia e ogni volta che compare, sempre si cerca interpretare e spiegare il significato del nome.

Qui si ritiene doveroso aggiungere un commento importante. Troviamo molti nomi per D-o nella Bibbia. I commentatori spiegano costantemente che ci sono differenze tra loro. Il nome principale è il tetragramma, YH-VH, ed è considerato il “nome essenziale” di D-o. Altri nomi come “El”, “Elohim”, “El Shaddai” o “Tzevaot” sono nomi che la Bibbia usa secondo al contesto. Pertanto, quando troviamo un nome specifico di D-o menzionato in un contesto particolare, siamo invitati a chiarire perché quel nome specifico viene utilizzato in quel contesto preciso. Di seguito un esempio dell’uso del nome “El Shaddai“, che invita a indagare sul significato del nome e sulla sua rilevanza per l’evento specifico.

Rashi, il principale commentatore della Torah, infatti si prende il tempo per spiegare il significato del nome e la sua connessione con l’evento in ogni caso. In questo caso, trattandosi della preghiera di Giacobbe per i suoi figli che scendono in Egitto, Rashi scrive:

א–ל ש–די – שדי בנתינת רחמיו, וכדי היכולת בידו ליתן

El Shaddai – La cui concessione di misericordia è sufficiente, e Chi ha potere sufficiente per concedere, possa concederti compassione.

In altre parole, il nome “El Shaddai”, che include la parola ebraica “dai”, (che significa “abbastanza” o “sufficiente”) viene menzionato in questa situazione perché il suo significato si riferisce alla preghiera. Questo significato è applicabile ad una qualsiasi preghiera che una persona prega e può insegnarci la forma corretta di preghiera.

Secondo Rashi il nome “El Shaddai” ha un doppio significato. Da un lato, quando D-o si preoccupa e ha compassione per una persona, non c’è motivo di preoccuparsi. La compassione di D-o è la soluzione migliore per ogni situazione. Dobbiamo sperare e chiedere queste grazie, ma se le meritiamo e siamo degni non abbiamo più motivo di preoccuparci di ciò che potrebbe accadere. Inoltre, implica che possiamo fare affidamento su D-o, che ha la capacità di fare qualsiasi cosa. La convinzione che Dio sia onnipotente costituisce la base per confidare e fare affidamento su di Lui. L’uomo non può fare affidamento su capacità limitate, ma poiché D-o è onnipotente, l’uomo può dipendere da Lui e confidare in Lui.

Quando preghiamo e cerchiamo la salvezza, che si tratti della salvezza individuale per una persona specifica o della salvezza nazionale per l’intero popolo ebraico, dobbiamo ricordare i due aspetti fondamentali della preghiera menzionati in questa porzione della Torah: il primo, sono le misericordie di D-o come obiettivo a cui aspiriamo, e il secondo, D-o, nel quale confidiamo, può davvero liberarci da qualsiasi difficoltà.

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