Noemi Di Segni (UCEI): Quale Palestina vogliono Madrid, Oslo e Dublino?
La parola Stato è una parola seria. Genera responsabilità sul piano interno, internazionale e morale e presuppone impegno e capacità. Capacità sulla quale, qua in Italia, ci misuriamo tutti i giorni in termini di aderenza ai valori fondanti dell’Unione europea, della Repubblica, per noi Italiani e parimenti per Israele. A tutti si estende il vaglio e il rigore dell’osservanza dei principi che sono alla base della convivenza tra le nazioni e il perseguimento della pace giusta, sapendo riconoscere falle ed errori che mettono a rischio il sistema democratico e di tutela a cui teniamo massimamente. E sappiamo confrontarci anche nei fori internazionali a patto che siano degni e leali alla loro missione, non quando trasformano anche le Corti di giustizia in arene politiche.
“Stato” è un concetto giuridico ben preciso che presuppone la disponibilità di un territorio con confini precisi, una popolazione che possa considerarsi cittadina di quell’entità, una capitale non meramente ideologica ma integrata in quei medesimi confini e una leadership riconosciuta, autorevole e capace di guidare per costruire, innovare, fare progredire verso un lontano futuro, superando sfide sociali, politiche, ambientali, economiche.
Tutto questo è al momento inesistente per la Palestina ed è stato fermamente rigettato dai palestinesi stessi nelle diverse occasioni – nella proposta del ’47 e negli altri negoziati di pace. I “no” ancora tuonano e si sono trasformati in inneggiamenti al massacro e alla distruzione invocata di Israele, degli ebrei e di tutto l’Occidente. Anche per i più convinti sostenitori del “due popoli e due stati” è difficile oggettivamente definire il perimetro giuridico-territoriale dello Stato palestinese e non per una resistenza israeliana, ma per i contrasti e la dialettica interna al popolo palestinese e alle sue leadership.
Siamo abituati a ragionare con i nostri significati occidentali sulle categorie concettuali di Stato, Popolo, e valori costituzionali tratti della nostra esperienza storica, specialmente in Europa. A quale Stato pensano la Spagna, l’Irlanda o la Norvegia quando dichiarano il riconoscimento della Palestina? A uno Stato con una costituzione europea o a uno stato con costituzione simile a quella turca? Pensano alla Cina? Alla Russia? All’Iran? Ad uno Stato simile a Israele? Non riesco a correlare alcun modello di Stato alla frastagliata vicenda palestinese che non porti alla creazione di un altro presidio legalizzato del terrore e della teocrazia radicalizzata.
Si celebra quest’anno il centenario dalla morte di Theodor Herzl (3 luglio 1904). Il “visionario“ dello Stato ebraico e di quello che oggi è Israele. Ci uniamo idealmente a tutte le cerimonie e ai momenti dedicati alla sua immensa opera diplomatica e non solo. Per parafrasare Herzl dovremmo dire che uno Stato palestinese è possibile “se solo lo si vuole”, non certo con la forza del terrore e la cultura della morte, ma con la forza e la cultura della vita. Non certo con dichiarazioni unilaterali di chi ha per secoli perseguitato gli ebrei cacciandoli, ma con il concerto di nazioni libere dalla piaga della distorsione della storia e dell’antisemitismo, attraverso un negoziato con chi riconosce lo Stato di Israele e non inneggia con slogan all’annientamento dello stesso, non certo con chi ospita e dà rifugio ai capi del terrore, non certo con chi avalla il sistema degli scudi umani addossando responsabilità a un esercito che è più amico che nemico, non certo con la pretesa di collaborazione umanitaria rivolta ad uno solo dei paesi confinanti con la striscia di Gaza, lasciando immune da ogni disagio “collaterale” l’altro.
Il concetto di Stato – quello da sognare anche per i palestinesi – corrisponde a tradizione, maturità e prospettiva del futuro. Gestione di istituzioni pubbliche che riguardano la giustizia, il welfare, la pianificazione urbanistica, la pedagogia e l’insegnamento della lingua che pronuncia vita, la bellezza, il rispetto e l’empowerment delle donne, l’acquisizione di saperi innovativi, curativi e di promozione del benessere, l’ascolto, il dibattito, le manifestazioni e l’inclusione come meccanismi per la formazione delle decisioni, il riparto di competenze e l’uso di forze di polizia e di esercito per difendere e non per governare. Corrisponde a istituzioni capaci di riconoscere e valutare le proprie fatiche e défaillance, di articolare un sistema di informazione e media lontani da ogni nuance di propaganda, valori che affondano nella fede religiosa per generare bene, libertà e diritti che guidano singoli e istituzioni e non l’alibi e l’abuso del potere. Corrisponde a sistemi dove le università sono luoghi di ricerca aperta, libera e indipendente, che non si piega ai campeggiatori occupanti e minacce, a teatri come luoghi di aperta cultura e satira. Tutto questo è l’insieme di Stati che sono Nazioni da tenere unite. Tutto questo è l’insieme di vicini confinanti che ha senso avere. Ed è quello che dovrebbero continuare ad essere anche Spagna, Irlanda e Norvegia. Tutto questo è Israele in cui ci riconosciamo e in cui crediamo. Tutto questo è Israele, che abbina alle antiche parole tratte dalla Bibbia, le applicazioni di intelligenza artificiale, che affronta sfide e dilemmi morali laceranti di oggi trovando forza e conforto nella sapienza e nella preghiera millenaria. Tutto questo è Israele, che ha posto Gerusalemme sua capitale, luogo che accoglie e di convivenza, di canti delle preghiere ebraiche, canti di muezzin e suono campane, molto più di quanto narrato.
È nostro dovere come comunità ebraiche qui in Italia e altrove, in questi durissimi mesi – e proprio dinanzi alla catena di barbarie perpetrate da singoli indottrinati all’odio con atti materiali o da enti e istituzioni con parole e delibere – ribadire l’impegno dello Stato di Israele nella difesa dei suoi cittadini tutti e dei suoi confini nei quali si è ritirato, sulla base delle diverse risoluzioni internazionali accettate e accordi di pace sottoscritti. Proprio con il pensiero verso il 2 giugno – giorno del referendum del 1946, dopo la lunga e devastante guerra, con il quale fu sancita la Repubblica e nel quale venne eletta l’Assemblea Costituente – va ben chiarito che questo impegno non è solo indispensabile per la salvaguardia di Israele stessa, ma genera beneficio e tutela per l’intera civiltà occidentale, all’Italia e all’Europa ancora unita che va verso un importante rinnovo parlamentare e che certo non desidera trovarsi soffocata da alcuna radicalizzazione e minaccia al concetto di Stato cosi come lo ha sognato e maturato, cosi come lo ha difeso con i presìdi costituzionali. La pace e la convivenza non nascono dalle dichiarazioni unilaterali o sventolando solo bandiere palestinesi in cortei e aule parlamentari, ma dalla volontà di insegnare ai propri figli l’amore per la vita anche quella altrui, alzando lo sguardo verso il cielo ricordandoci che siamo esseri umani creati tutti a immagine di uno stesso D-o.
Noemi Di Segni, presidente Ucei