Nel centenario della morte di Kafka- ricordi tra Verona ed il Garda

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Franz Kafka muore verso mezzogiorno del 3 giugno 1924 nel sanatorio Wiener Wald a 70 km da Vienna. Aveva 41 anni.La sua ultima fidanzata e  confidente Dora Dymant restò con lui fino all’ultimo comunicandogli qualche giorno prima che la Prager Presse aveva accettato di pubblicare il suo ultimo racconto Giuseppina la cantante ossia Il  popolo dei topi, una scarna metafora testamentaria che si nutre di  misteriosi teoremi, delicate ironie,  echi chassidici, richiami, fischi, silenzi, sibili riverberanti  dall’abisso di tante storie ebraiche disperse per le strade del   mondo.  Un universo, quello kafkiano, che  può essere solamente vissuto, ma, non descritto, al limite trasfigurato  poeticamente  in un  interminabile, assurdo quanto lucido labirinto.
Ci limitiamo in questa occasione  a evidenziare solo come  il significato della reiterazione letteraria dei viaggi o meglio delle sue “evasioni” in Italia, soprattutto sulle coste del lago di Garda,    è tale da non poter essere ignorato perché sono coincisi con momenti emblematici della parabola umana dello scrittore praghese, come  un’utopia liberatoria di un  prigioniero nelle molteplici case incubo di Praga e ospite dei più diversi sanatori e case di cura  europee.
Nel primo viaggio a Riva del 1909 era in  compagnia  dei  fratelli Otto e Max Brod, quest’ultimo l’amico di una vita oltre che biografo e “salvatore” dell’opera Kafkiana. Sarà l’occasione, per lo sconosciuto scrittore , di assistere , a Montichiari,  al primo  grande affollatissimo raduno aviatorio internazionale che racconterà poi, come primo cronista in lingua tedesca,  sul quotidiano praghese “Bohemia”.  Nel 1913 tornerà da solo a Riva  nella Casa di Cura  von Hartungen, dove soggiornò dal 22 settembre  al 12 ottobre,   per ritrovare un po’ di serenità dopo un  travagliato periodo di cadute depressive.  Un umore cupo, tra angoscia e  insofferenza, era  emerso   a Venezia e a Verona, precedenti soggiorni di avvicinamento  ” alla salute ” di Riva,  in buona  parte legati alla travagliata relazione con  Felice Bauer. ” Nella chiesa di Sant’ Anastasia a Verona – scrive il 20 settembre a Felice – dove mi siedo spossato su uno dei banchi, di fronte a un nano di marmo in grandezza naturale che con un’espressione beata regge una pila di acqua santa.(…)  così sono quasi all’altro mondo,  ma per il resto sono qui in tutta la mia miseria”. È questa forse l’immagine più icastica che Kafka lascia di Verona, una figura umbratile e grottesca che sembra far presagire alle  più diverse  stralunate e ” automatiche” creazioni del metafisico  bestiario kafkiano.
In un’altra nota successiva riferisce a Felice tutto il resto che sappiamo del suo passaggio da Verona.: ” … Non mi capita nulla che possa agitarmi nell’intimo ciò vale anche per quando piango come ieri in un Cinematografo di Verona. Mi è dato di godere di rapporti umani non di viverli. Ne posso avere sempre la prova: ieri, a una festa popolare di Verona; prima, davanti agli sposi in viaggio di nozze a Venezia subito”. L’ Arena del 20- 21 settembre 1913 presentava tre proiezioni in città non  adatte probabilmente a sollevare un animo malinconico. Il “Cinema Edison”, successivamente Marconi, in via Mazzini, proiettava “La vindice” la storia del famoso bandito Garouge decapitato a Parigi;   al ” Pathè” di via Cappello il documentario “La lezione dell’abisso” presentava una serie di ascensioni sulle montagne svizzere; al ” Cinema Calzoni” di via Stella si proiettava “Poveri bimbi!”, storia struggente di due bambini travolti in un dramma dell’amore e della gelosia. E  viene anche da pensare che le lacrime di Kafka siano state  tutte per questo film.
I momenti di piccole felicità per Kafka, in quei giorni,  sono ancora una volta legati al lago di Garda e a Riva, come l’incontro e la delicata quanto fugacissima  storia d’amore  con  una giovane  ragazza svizzera di salute fragile che occupava una camera sopra la sua  nella Casa di cura Hartungen e con la quale comunicava picchiando contro il soffitto secondo un codice improvvisato. E la meraviglia della gita domenicale in battello a Malcesine alla fine di settembre, meta obbligata di ogni turista proveniente dal nord,  da solo con Il viaggio in Italia di Goethe sotto il braccio alla ricerca del punto esatto dove Goethe si era messo a disegnare. Una traccia quella  goethiana che ha condizionato non solo le escursioni di Kafka ma ha fatto scuola anche per altri ospiti del lago come Nietzsche, Rilke, i fratelli Mann, Freud.
Kafka ritornerà idealmente sul Lago di Garda per la terza volta  nel gelido inverno tra il  1916 e  1917 con la “barca” del Cacciatore Gracco.  Uno dei suoi più visionari e inquietanti racconti. Una storia ambientata a Riva del Garda che narra di un cacciatore di lupi della Foresta Nera morto precipitando in una rupe mentre inseguiva un camoscio. Gracco non è mai riuscito a raggiungere l’aldilà perché la barca che doveva portarvelo per un falso colpo di timone ha sbagliato rotta e da allora vaga per le acque del mondo senza fine.
Nel suo vagabondare la barca approda anche a Riva dove Il morto vivente ha un surreale quanto evanescente colloquio con il sindaco della città che alla fine saluta con la consapevolezza che ” la mia barca è senza timone e viaggia col vento che soffia nelle più basse regioni della morte “.

Riccardo Mauroner

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