MEMORIA – Dalla parte giusta: i poliziotti che salvarono gli ebrei

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Presentata a Montecitorio la ricerca di Raffaele Camposano

«Se io oggi sono qui è perché due famiglie e due poliziotti coraggiosi, ai tempi della persecuzione e della caccia agli ebrei del secolo scorso, salvarono la mia famiglia», ha ricordato Ermanno Smulevich ((nella foto sotto) nella sala della Regina di Palazzo Montecitorio, a Roma. I commissari Giovanni Palatucci a Fiume e di Mariano De Vita in Toscana andarono controcorrente e aiutarono la famiglia Smulevich a salvarsi dalla persecuzione nazifascista. Due uomini dello stato capaci di scegliere la disobbedienza agli ordini e non consegnare agli aguzzini uomini, donne e bambini perseguitati per il solo fatto di essere ebrei. Le loro storie, come quelle di altre decine di agenti della polizia italiana, sono raccontate nel progetto Fecero la scelta giusta, a cura di Raffaele Camposano, presentato oggi a Montecitorio alla presenza del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Un lavoro editoriale in due volumi, portato avanti dall’Ufficio storico della polizia per ricostruire nomi e biografie di servitori dello stato impegnati nella Resistenza o nel fornire aiuto agli ebrei in fuga. «Un indelebile esempio da trasmettere e donare alle attuali e future generazioni delle donne e degli uomini delle forze dell’ordine», ha affermato il capo della polizia, Vittorio Pisani, in apertura dell’evento.
La presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Noemi Di Segni, ha definito «evocativo» il titolo della ricerca, Fecero la scelta giusta, perché racchiude due dimensioni fondamentali: quella di chi aveva la possibilità di scegliere e quella di chi, invece, non poteva farlo, essendo vittima di un destino imposto da poteri superiori. Di Segni ha sottolineato il valore della scelta, che orienta le azioni rispetto alla fede, alla morale, alle leggi e ai doveri di chi opera in un contesto gerarchico, come la polizia di stato. Ha poi ricordato il principio cardine dell’ebraismo: “E sceglierai la vita” (Deuteronomio 30, 15-20).
Durante il regime fascista e l’occupazione nazista furono in pochi a fare la scelta giusta, ha evidenziato il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni. Furono degli agenti di polizia italiana, ad esempio, a perquisire su ordine dei nazisti la casa della sua famiglia nel settembre 1943. «Perché racconto questa storia oggi, qui? Perché in molti della nostra comunità è rimasto il ricordo della persecuzione e di come, purtroppo, l’apparato dello Stato di allora vi partecipò, obbedendo a ordini iniqui». Allo stesso tempo, ha proseguito il rav, non bisogna dimenticare il coraggio individuale di chi, all’interno della gerarchia statale «oppose resistenza alle disposizioni, ignorando gli ordini, rallentando l’esecuzione, preavvisando gli interessati, facilitando i movimenti, chiudendo cento occhi e anche esponendosi personalmente al rischio della vita con il rifiuto di obbedire». Un esempio è il citato De Vita, commissario a Pisa. «Mio nonno, Sigismondo Smulevich, stabilì con lui un rapporto di confidenza e reciproco rispetto», ha ricordato il nipote Ermanno, che ha ricostruito la storia famigliare attraverso i diari del padre Alessandro, raccolti nel volume Matti e Angeli. Una famiglia ebraica nel cuore della Linea Gotica. Diario 1943-1944 (Pendragon). E così quando il 30 novembre 1943 il fascismo ordinò l’arresto degli ebrei, «De Vita mandò subito un suo fratello poliziotto in incognito a Firenzuola ad avvertire i miei parenti di nascondersi meglio».

Chi aiutava rischiava
Gesti simili, hanno spiegato il giornalista Aldo Cazzullo e Mario Toscano, potevano costare la vita a chi li compiva. Aiutare gli ebrei o i partigiani si traduceva, quando scoperti, in una condanna a morte. È il caso del commissario di pubblica sicurezza Antonino D’Angelo (nella foto sotto) in servizio alla questura di Udine. D’Angelo, ritenuto elemento ostile ai nazifascisti, come si legge nel suo verbale d’arresto, fu deportato nei lager nazisti, prima a Dachau e poi a Mauthausen, dove morì il 16 aprile 1945.

Nel segno del nonno
A ricordarne la storia è stata la nipote, Gioia D’Angelo, leggendo l’ultima lettera del nonno alla moglie, scritta a bordo del treno che lo avrebbe condotto alla morte. «Ti penserò ogni sera insieme ai bimbi, alle 20 precise; fai altrettanto e i nostri pensieri si incontreranno», prometteva il commissario. «Mia nonna lo ha aspettato per tutta la vita», ha raccontato Gioia, sperando nel suo ritorno e dedicando ogni sforzo a crescere i figli nel suo ricordo. «Se l’amore è testimonianza, lei è stata testimone delle tue volontà, ha portato avanti il compito, la missione di cui l’avevi investita», ha affermato la nipote rivolgendosi idealmente al nonno. «Tu sei presente, sempre, nelle nostre decisioni, nelle nostre azioni, nei nostri pensieri, nelle nostre parole, nel nostro cognome. Tu sei una luce che guida la mia strada».
Come luce nell’ombra della persecuzione furono i poliziotti celebrati in Fecero la scelta giusta. «Il loro ricordo», ha concluso il ministro degli Interni, Matteo Piantedosi, «ci insegna che la scelta giusta non è mai la scelta più semplice, ma è quella che definisce chi siamo, come individui e come comunità».

Daniel Reichel

(Foto del Quirinale)

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