L’esempio di leadership di Mosè – Parashat Shelac

 In Dall'Ufficio Rabbinico, Parashà della Settimana

di Rav Shmuel Rabinowitz, Rabbino del Kotel e luoghi sacri in Israele

tradotto ed adattato da David Malamut

Nella Parashat Shelach arriviamo a un punto di svolta nel viaggio degli Israeliti dall’Egitto, attraverso il monte Sinai, fino alla terra di Canaan. Fino ad ora il viaggio si è svolto in modo relativamente regolare e secondo i piani. Gli Israeliti si accamparono ai piedi del monte Sinai per circa un anno, quindi iniziarono un viaggio che avrebbe dovuto durare alcune settimane o mesi. Quando arrivarono in un luogo chiamato Kadesh, mandarono dodici esploratori nel paese di Canaan per esaminare il paese, se fosse buono o cattivo. Dopo un giro di quaranta giorni, gli esploratori tornarono con un rapporto inquietante (Numeri 13,28-31):

<< Pero il popolo che abita quel paese è fortissimo, e le città sono munite e grandi oltremodo; ed ivi abbiamo anche veduto uomini di razza gigantesca. Gli Amaleciti abitano il paese australe; e gli Hittei e i Jevussei e gli Emorei stanno nella parte montuosa, e i Cananei stanno presso al mare e lungo il Giordano. Caleb impose silenzio al popolo [che cominciava a mormorare] verso Mosè; e disse: Potrem bene andare, e conquistarlo [codesto paese]; si, potrem bene superarlo. Ma gli uomini ch’erano andati con lui dissero: Non possiamo andare contro quel popolo, perocché e più forte di noi.>>

Fatta eccezione per due esploratori, dieci di loro erano uniti nel ritenere che gli israeliti non avessero alcuna possibilità di conquistare la terra di Canaan, e l’intero popolo seguì il loro esempio e si disperò. Gli Israeliti persero la fiducia nell’aiuto di Dio e vollero ritornare in Egitto (Numeri 14,1-3):

<< Allora tutta la congrega diede in alte strida, ed il popolo pianse in quella notte. Tutt’i figli d’Israel mormorarono contro Mosè e contro Aronne, e tutta la congrega disse loro: Oh fossimo morti nella terra d’Egitto, o in questo deserto fossimo morti! E perché il Signore vuol condurci in codesto paese, ove dovrem perire per la spada, e dove le nostre donne e la nostra figliuolanza diventeranno preda altrui? Non sarebb’egli meglio per noi di ritornare in Egitto?>>

Come si può trattare con le persone che hanno perso la fede e la speranza? Giosuè e Caleb, i due esploratori che non condividevano il cattivo consiglio, cercarono di convincere la gente che i timori erano esagerati e infondati, ma senza successo. La gente sprofondò in una profonda disperazione.

Poi Dio si rivelò a Mosè con una “soluzione” alla crisi. Dio propose a Mosè di terminare la storia e ricominciare da capo (Numeri 14,11-12):

<<Ed il Signore disse a Mosè: Sino a quando questo popolo ha da oltraggiarmi? e sino a quando non m’ha da credere, dopo tutt’i miracoli che ho fatti in mezzo di esso? Voglio colpirlo coll’epidemia, e distruggerlo: e render te una nazione grande e potente più di esso.>>.

Mosè non accettò l’offerta e implorò Dio di perdonare la mancanza di fede del popolo: “Ti prego, perdona l’iniquità di questa nazione secondo la tua grande gentilezza”. E in effetti, Dio li perdonò, ma decretò che il popolo non era degno di entrare nella terra di Canaan e che avrebbe dovuto aspettare la generazione successiva, una generazione che sarebbe stata più meritevole dei loro antenati.

Ma perché Dio ha proposto una “soluzione” che non risolve nulla? Qual era lo scopo di questa proposta?

Sembra che lo scopo fosse proprio che Mosè rifiutasse. Era una prova per Mosè: vedere se era un leader devoto al popolo e desideroso del suo benessere, o se preferiva il proprio bene. La proposta presentata a Mosè era che sarebbe diventato il padre di una nuova nazione per sostituire gli Israeliti. Mosè rifiutò e così creò, o meglio rafforzò, la sua immagine di leader ideale del popolo. D’ora in poi ogni leader sarebbe stato giudicato dall’esempio di Mosè. Un leader che segue le orme di Mosè, che protegge il popolo e non considera i propri interessi, è l’unico che sarà ritenuto un degno leader.

Quando si parla di qualità di leadership, si parla spesso di carisma, coraggio, intelligenza emotiva e capacità di prendere decisioni difficili. Tutte queste sono infatti qualità necessarie di un leader. Ma prima di tutte queste qualità, c’è un attributo fondamentale che quasi certamente determina il successo o il fallimento. Questa è devozione. È probabile che un leader devoto abbia successo. Ma un leader non devoto, anche se all’inizio sembra avere successo, diventa presto un leader corrotto che bada ai propri interessi.

La devozione non è una caratteristica innata. È acquisita. Possiamo decidere di dedicarci agli altri, alla nostra famiglia o ai nostri studenti e mantenere questa decisione. Ognuno di noi è chiamato a seguire il cammino di Mosè, a mettere i bisogni degli altri prima dei nostri interessi personali, soprattutto di coloro di cui abbiamo la responsabilità, e quindi essere un vero leader.

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