La nascita dell’odio più antico del mondo 

 In Dall'Ufficio Rabbinico

 di Rabbino Lord Jonathan Sacks zt”l

tradotto ed adattato da David Malamut

<<Va’ e scopri ciò che Labano l’Arameo cercò di fare a nostro padre Giacobbe. Il faraone emanò il suo decreto solo riguardo ai maschi mentre Labano cercò di distruggere tutto.>>

צֵא וּלְמַד מַה בִּקֵּש לָבָן הָאֲרַמִי לַעֲשׂוֹת לְיַעֲקֹב אָבִינוּ. שֶׁפַּרְעֹה לֹא גָזַר אֶלָּא עַל הַזְּכָרִים וְלָבָן בִּקֵּשׁ לַעֲקוֹר אֶת הַכֹּל

Questo passaggio dell’Haggadah di Pesach – evidentemente basato sulla Parasha di questa settimana – è straordinariamente difficile da comprendere.

Innanzitutto, è un commento alla frase del Deuteronomio, ” Arami oved avi”. Come sottolinea la stragrande maggioranza dei commentatori, il significato di questa frase è “mio padre era un arameo errante“. Questa frase potrebbe essere vista come un riferimento a Giacobbe, che fuggì ad Aram [Aram significa Siria, ovvero Haran dove viveva Labano], o ad Abramo, che lasciò Aram in risposta alla chiamata di Dio a recarsi nella terra di Canaan. Ciò non significa che “un arameo [Labano] cercò di distruggere mio padre”. Alcuni commentatori lo leggono in questo modo, ma quasi certamente lo fanno solo a causa di questo passaggio dell’Haggadah di Pesach.

In secondo luogo, da nessuna parte nella Parasha troviamo che Labano abbia effettivamente cercato di distruggere Giacobbe. Lo ha ingannato, ha cercato di sfruttarlo e lo ha inseguito quando è fuggito. Mentre stava per raggiungere Giacobbe, Dio gli apparve in sogno di notte e gli disse: “Iddio, venuto in sogno notturno all’arameo Lavàn, gli disse: Guardati di non parlare a Giacobbe nè in bene, né in male” (Gen. 31, 24). Quando Labano si lamenta del fatto che Giacobbe stava cercando di scappare, Giacobbe risponde: “Ho scorsi vent’anni in casa tua: t’ho servito quattordici anni per le due tue figlie, e sei anni pel tuo bestiame; e tu mi cangiasti la mercede [i patti] dieci volte.” (Genesi 31, 41). Tutto ciò suggerisce che Labano si sia comportato in modo oltraggioso con Giacobbe, trattandolo come un lavoratore non retribuito, quasi uno schiavo, ma non che abbia cercato di “distruggerlo”, ovvero di ucciderlo come il Faraone cercava di uccidere tutti i bambini maschi israeliti.

In terzo luogo, l’Haggadah e il Seder di Pesach da cui è stato ripreso il testo sopracitato, riguardano il modo in cui gli egiziani schiavizzarono e praticarono un lento genocidio contro gli israeliti, e come Dio li salvò dalla schiavitù e dalla morte. Perché cercare di sminuire l’intera narrazione dicendo che, in realtà, il decreto del Faraone non era poi così male, mentre quello di Labano era peggiore. Ciò sembra non avere senso, né in termini del tema centrale dell’Haggadah né in relazione ai fatti reali riportati nel testo biblico. Come dobbiamo allora comprenderlo?

Forse la risposta è questa. Il comportamento di Labano è il paradigma degli antisemiti attraverso i secoli. L’Haggadah non si riferisce tanto a ciò che Labano fece, ma a ciò che il suo comportamento diede origine, secolo dopo secolo. Come mai?

Labano comincia col sembrare un amico. Offre rifugio a Giacobbe quando costui fugge da Esaù che ha giurato di ucciderlo. Eppure, si scopre che il suo comportamento è meno generoso, più da egoista e calcolatore. Giacobbe lavora per lui per sette anni, per Rachele. Poi la prima notte di nozze Labano sostituisce Rachele con Lea così che per sposare Rachele, Giacobbe deve lavorare altri sette anni. Quando Giuseppe nasce da Rachele, Giacobbe cerca di andarsene. Labano protesta. Giacobbe lavora altri sei anni, poi si rende conto che la situazione è insostenibile. I figli di Labano lo accusano di arricchirsi a sue spese. Giacobbe sente che Labano stesso sta diventando ostile. Rachele e Lea sono d’accordo, dicendo: “Rachele e Leà rispondendo gli dissero: Abbiam noi ancora (a sperare) qualche parte o retaggio nella casa [nelle sostanze] di nostro padre? Non ci ha egli trattate da straniere, vendendoci, e mangiandoci il nostro denaro [la mercede a te dovuta per 14 anni di servitù]?” (Genesi 31, 14-15). Giacobbe si rende conto che non c’è nulla che possa fare o dire che possa convincere Labano a lasciarlo andare. Non ha altra scelta che scappare. Labano poi lo insegue. Se non fosse stato per l’avvertimento di Dio la notte prima di raggiungerlo, non c’è dubbio che avrebbe costretto Giacobbe a tornare e a vivere il resto della sua vita come lavoratore non retribuito. Come dice a Giacobbe il giorno dopo: “Lavàn rispondendo disse a Giacobbe: Le donne sono mie figliuole, i figli sono miei figli, il bestiame è il mio bestiame, e quanto tu vedi è mio [di mia provenienza]. Ora come potrei io nuocere a queste, alle mie figliuole, o ai figli da esse partoriti?” (Genesi 31, 43). Si scopre che tutto ciò che aveva apparentemente dato a Giacobbe, nella sua mente non lo aveva dato affatto.

Labano tratta Giacobbe come una sua proprietà, un suo schiavo, una non-persona. Ai suoi occhi Giacobbe non ha diritti, non ha un’esistenza indipendente. Ha dato in matrimonio a Giacobbe le sue figlie, ma continua a sostenere che loro e i loro figli appartengono a lui, non a Giacobbe. Ha dato a Giacobbe un accordo sugli animali che saranno suoi come salario, ma insiste ancora sul fatto che “le greggi sono le mie greggi”.

Ciò che suscita la sua rabbia, la sua rabbia, è che Giacobbe mantiene la sua dignità e indipendenza. Di fronte a un’esistenza impossibile come schiavo del suocero, Giacobbe trova sempre il modo di andare avanti. Sì, è stato derubato della sua amata Rachele, ma lavora per poter sposare anche lei. Sì, è stato costretto a lavorare gratis, ma usa la sua conoscenza superiore dell’allevamento degli animali per proporre un accordo che gli permetterà di costruire greggi proprie che gli permetteranno di mantenere quella che ora è una grande famiglia. Giacobbe rifiuta di essere sconfitto. Circondato da tutti i lati, trova una via d’uscita. Questa è la grandezza di Giacobbe. I suoi metodi non sono quelli che avrebbe scelto in altre circostanze. Deve superare in astuzia un avversario estremamente astuto. Ma Giacobbe rifiuta di lasciarsi sconfiggere, schiacciare o demoralizzare. In una situazione apparentemente impossibile Giacobbe conserva la sua dignità, indipendenza e libertà. Giacobbe non è schiavo di nessuno.

Labano è, in effetti, il primo antisemita, per quanto possa sembrare assurdo. In ogni dato periodo epocale, gli ebrei cercarono rifugio da coloro che, come Esaù, cercavano di ucciderli. Le nazioni che diedero loro rifugio sembravano inizialmente essere dei benefattori. Ma hanno chiesto un prezzo. Vedevano negli ebrei persone che li avrebbero resi ricchi. Ovunque andassero gli ebrei portavano prosperità ai loro ospiti. Eppure, si rifiutavano di essere semplici beni mobili. Si sono rifiutati di essere posseduti. Avevano la propria identità e modo di vivere; insistevano sul diritto umano fondamentale alla libertà. La società ospitante alla fine si è rivoltata contro di loro. Affermavano che gli ebrei li stavano sfruttando e non, come in realtà, stavano sfruttando gli ebrei. E quando gli ebrei ci riuscirono, li accusarono di furto: “Le greggi sono le mie greggi! Tutto quello che vedi è mio!” Si erano dimenticati che gli ebrei avevano contribuito in maniera massiccia alla prosperità nazionale. Il fatto che gli ebrei avessero recuperato un po’ di rispetto proprio, una certa indipendenza, che anche loro avessero prosperato, li rendeva non solo invidiosi ma anche arrabbiati. Fu allora che divenne pericoloso essere ebreo.

Labano fu il primo a manifestare questa sindrome ma non l’ultimo. È successo di nuovo in Egitto dopo la morte di Giuseppe. Ciò è accadduto sotto i Greci e i Romani, negli imperi di dominio cristiano e musulmano del Medioevo, nelle nazioni europee del XIXimo e dell’inizio del XXimo secolo e dopo la Rivoluzione Russa.

Nel suo affascinante libro World on Fire, Amy Chua sostiene che l’odio etnico sarà sempre diretto dalla società ospitante contro qualsiasi minoranza di notevole successo. Tutte e tre le condizioni devono essere presenti.

  1. Il gruppo odiato deve essere una minoranza altrimenti le persone avranno paura di attaccarlo.
  2. Deve avere successo altrimenti la gente non lo invidierà, ma proverà semplicemente disprezzo per esso.
  3. Deve essere ben visibile altrimenti la gente non se ne accorgerà.

Gli ebrei tendevano ad adattarsi a tutti e tre. Ecco perché erano odiati. E cominciò con Giacobbe durante il suo soggiorno presso Labano. Era una minoranza, in inferiorità numerica rispetto alla famiglia di Labano. Aveva successo, ed era evidente: lo si vedeva guardando le sue greggi.

Ciò che i Saggi dicono nell’Haggadah, ora diventa chiaro. Il Faraone un tempo era un nemico degli ebrei, ma Labano esiste, in una forma o nell’altra, in epoca dopo epoca. La sindrome esiste ancora oggi. Come osserva Amy Chua, Israele nel contesto del Medio Oriente è una minoranza di notevole successo. È un paese piccolo, una minoranza; ha successo, in modo evidente. In qualche modo, in un piccolo paese con poche risorse naturali, ha surclassato i suoi vicini. Il risultato è l’invidia, che diventa rabbia, che diventa odio. Dove è iniziato? Con Labano.

Detto così, iniziamo a vedere Giacobbe sotto una nuova luce. Giacobbe rappresenta le minoranze e le piccole nazioni ovunque. Giacobbe è il rifiuto di lasciare che le grandi potenze schiaccino i pochi, i deboli, i rifugiati. Giacobbe rifiuta di definirsi schiavo, proprietà di qualcun altro. Mantiene la sua dignità interiore e la sua libertà. Contribuisce alla prosperità degli altri, ma sconfigge ogni tentativo di sfruttamento. Giacobbe è la voce che dice: “Anch’io sono umano. Anch’io ho dei diritti. Anch’io sono libero”.

Se Labano è l’eterno paradigma dell’odio verso le minoranze vistosamente vincenti, allora Giacobbe è l’eterno paradigma della capacità umana di sopravvivere all’odio degli altri. In questo strano modo Giacobbe diventa la voce della speranza nel dialogo dell’umanità, la prova vivente che l’odio non ottiene mai la vittoria finale; la libertà sì.

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