Il potere di una missione – Parashat Va’era
di Rav Shmuel Rabinowitz, Rabbino del Kotel e luoghi sacri in Israele
tradotto ed adattato da David Malamut
Alla fine della Parasha della scorsa settimana, la Parasha di Shemot, leggiamo di Mosè che andò in Egitto per una missione, come indicato dal Signore. Il suo compito era dare istruzioni richiedendo dal Faraone, insieme a suo fratello Aronne, di liberare gli Israeliti, il popolo in schiavitù in Egitto da molti anni. La missione, come previsto, fallì. Il Faraone si rifiutò categoricamente di rilasciare gli Israeliti e, come se non bastasse, diede addirittura ordini di intensificare il loro carico di lavoro.
Se fino ad ora agli Israeliti venivano forniti materiali da costruzione, ora, a causa dell’ “audacia” (il “coraggio”) di Mosè nell’ordinare al Faraone di liberare gli Israeliti, il Faraone ordinò di non fornire loro materiali da costruzione. Di conseguenza, il popolo dovette produrre da soli i mattoni, non avendo materiali, per costruire le città per il Faraone.
Il risultato di questo intenso lavoro fu un’aspra lamentela da parte degli Israeliti verso Mosè e Aronne. La Torah racconta l’incontro tra i capisquadra Israeliti, coloro che erano responsabili del ritmo del lavoro, con Mosè e Aronne mentre uscivano dal palazzo del Faraone. I capisquadra li accusarono di aver causato danni agli Israeliti (Esodo 5, 21):
<<Dissero loro: Vegga il Signore, e ve ne faccia carico, e giudichi, che ci
rendeste odiosi a Faraone ed ai servi suoi, mettendo (quasi) la spada nella loro mano, perché ci uccidano.>>
Mosè apparentemente accettò le loro parole e si rivolse al Signore con una lamentela (Esodo 5, 23):
<<Mentre da quando mi recai a Faraone a parlare in tuo nome, egli fece
[vieppiù] male a questo popolo; nè tu recasti alcuna salvezza al tuo popolo.>>
Mosè riconosce che le sue azioni hanno peggiorato la condizione degli Israeliti, che era già difficile, e si lamenta del modo in cui il Signore ha agito, ovvero mandandolo dal Faraone invece di salvare il popolo in un modo diverso.
La risposta del Signore a Mosè è duplice. Inizialmente, Dio rassicura Mosè e gli promette (Esodo 6, 1): <<Ora vedrai ciò che farò a Faraone; poiché (costretto) colla forza li lascerà andare, anzi a viva forza gli scaccerà dal suo paese.>> Successivamente, inizia un nuovo dialogo col Signore che si rivolge direttamente a Mosè (Esodo 6, 2-4):
<<Indi Iddio parlò a Mosè, e gli disse: Io sono il Signore. Io mi mostrai ad Abramo, Isacco e Giacobbe, qual Dio onnipossente; ma tale, quale significa il mio nome “il Signore”, non mi feci conoscere ad essi. Ed anche feci ai medesimi una solenne promessa di dar loro la terra di Cànaan, il paese del loro pellegrinaggio, dove vissero come forestieri.>>
Qual è il collegamento tra le parole di Mosè e la risposta di Dio, che racconta la Sua relazione con gli antenati Abramo, Isacco e Giacobbe? Rashi spiega la questione nel modo seguente:
“Sono apparso dinanzi ai Patriarchi – ho promesso loro delle promesse… E ho stabilito la Mia alleanza con loro per dare loro la terra di Canaan, eppure nessuno di loro ha ereditato la terra durante la loro vita.”
Leggendo più avanti le parole di Rashi, lui fornisce esempi di promesse che Dio fece ai Patriarchi, promesse che non furono mantenute durante la loro vita. Nonostante ciò, i Patriarchi non si lamentarono e continuarono a credere ed avere fede in Dio e a seguire il cammino che Egli aveva indicato per loro. Dio promise ai Patriarchi la terra di Canaan, ma nessuno di loro ereditò personalmente la terra. Dio dice a Mosè che anche lui deve camminare sulle vie dei Patriarchi e credere nelle parole di Dio, anche se dovessero sembrare a portare ad un risultato opposto, ben diverso.
Come hanno fatto i Patriarchi a trovare la forza per credere in promesse che non si sono realizzate o materializzate durante la loro vita? Questo è stato possibile perché vivevano con un senso della missione. Hanno capito l’obiettivo a cui tendevano e, nonostante le difficoltà comparse lungo il percorso, il risultato e la destinazione non è cambiata.
Con queste parole il Signore cercò di educare Mosè a vivere con il senso della missione. A Mosè fu affidato il compito di eseguire le istruzioni di Dio e di credere che, alla fine, la redenzione sarebbe arrivata per gli Israeliti.
Avere il senso della missione è il segreto che dà forza alla persona.
Chi vive con il senso della missione, sia essa significativa o relativamente piccola e sia essa diretta verso molti o verso i familiari più stretti, trae una forza speciale per superare le difficoltà. Stabilire un obiettivo, compiere una missione e avere uno scopo è il segreto per accettare e affrontare le sfide e raggiungere, appunto, il successo.