Femministe a confronto, dialogo a tutti i costi?
La presidente dell’Adei Wizo Susanna Sciaky ha inviato un massaggio in occasione del 25 novembre, la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne: «Siamo ormai purtroppo sicure che, per il secondo anno, le associazioni femministe italiane e internazionali dimenticheranno colpevolmente di citare le donne ancora nelle mani dei terroristi di Hamas».
Le posizioni tra le relatrici sono piuttosto distanti. Partendo proprio dal tema della solitudine: Alida Vitale dice di non sentirsi sola nel suo ambiente, di non aver patito la difficoltà dell’esclusione, mentre le altre relatrici constatano una fortissima solitudine in quanto ebree in prima persona o in quanto donne appunto filoccidentali: si sono sentite abbandonate dal femminismo. Paola Concia e Melissa Sonnino sostengono la difficoltà di ricucire una ferita tra transfemminismo e donne ebree mentre per Alida Vitale, proprio in quanto femministe, si ha il dovere di non polarizzare le situazioni e di cercare un dialogo anche con le tranfemministe.
Vitale invita ancora una volta al dialogo partendo da quello «micro», uno a uno. Ci sono donne del LƏA – Laboratorio Ebraico Antirazzista – che hanno instaurato un dialogo con l’associazione Non Una Di Meno. «Criticare il femminismo perché è stato silente non porta lontano». Concia e Sonnino rispondono che non si può dialogare se per farlo le donne ebree devono rinunciare alla propria identità. Sarebbe un prezzo troppo alto da pagare.
Concia ritiene che il transfemminismo è molto rumoroso ed è molto coccolato dai media perché ha delle caratteristiche ben precise: un antioccidentalismo molto marcato e la capacità di relativizzare, ossia di fare battaglie a seconda del contesto, l’antitesi del femminismo universalista.
Sia Concia che Vitale concordano sul fatto che il femminismo nel quale si riconoscono deve essere universalista: deve avere come obiettivo la difesa della libertà delle donne, la lotta alle discriminazioni, la lotta contro la violenza ovunque venga perpetrata, non la difesa delle donne a seconda del contesto.
Le tre relatrici sono d’accordo nel definire sconcertante il ritardo con lui l’Onu ha pubblicato il rapporto sulle violenze contro le donne del 7 ottobre. Le considerazioni invece sulle Nazioni Unite sono diverse. Per Concia «l’Onu è in mano ai paesi islamici, ed è uno strumento non più attuale, pensiamo che il diritto di veto ce l’ha la Russia che è un’autocrazia. L’Onu va riformata». Per Alida Vitale il giudizio non è così netto.
Tutte e tre le relatrici sono d’accordo sulla scelta di Israele di non diffondere le immagini più cruente degli stupri se non a un pubblico scelto e di non mettersi sullo stesso piano di Hamas.
Melissa Sonnino ha sottolineato: «Le donne ebree – nel miglior wokismo – vanno bene nei movimenti femministi transfemministi e spesso nelle associazioni ong per la pace o per i diritti civili solo se condannano Israele, solo se in sostanza abiurano se stesse» A questo ha fatto eco Paola Concia chiedendo: «Perché per gli ebrei c’è sempre bisogno delle prove? È evidente il doppio standard».
La solitudine è di Israele dice Bernard Henry Levy ma la solitudine è anche delle donne anche di quelle a favore di un dialogo. Poi, come dimostra il dibattito, ci sono nuove alleanze e nuove amicizie che nascono fuori dal mondo ebraico, che a sua volta deve guardarsi dalle spaccature – il che non vuol dire monolitismo di posizioni.
Difficile però dialogare con chi dichiara, come Non Una Di Meno, di non voler «più assistere alla catastrofe quotidiana del genocidio in Palestina e della Guerra che si estende a macchia d’olio. Ci connettiamo con le donne e le persone lgbtiaq+ che continuano a resistere al genocidio in Palestina messo in atto dalle politiche coloniali e sioniste». Davvero è possibile dialogare con chi ritiene che Israele sia uno stato canaglia?
Sara Levi Sacerdotti
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