Elio Toaff Fellowship, la strada verso le future leadership ebraiche

 In Attività Culturali per Iscritti

di Ghila Schreiber

Cosa significa essere un leader? Quali strategie sono utili per l’emergere di una leadership efficace?  Queste sono solo alcune delle domande che ci siamo posti nel primo Shabbaton della Elio Toaff Fellowship, tenutosi a Firenze tra il 28 e il 30 marzo. Diciotto ragazzi provenienti da diverse comunità italiane, riuniti per cominciare concretamente un percorso di formazione pratica sul tema della leadership, in particolare in relazione al contesto delle comunità ebraiche italiane. Il progetto, nato dall’evidente esigenza di ricambio generazionale all’interno delle comunità ebraiche, ha lo scopo di colmare la carenza di investimenti destinati a offrire loro lo spazio e gli strumenti necessari per affermarsi e assumere ruoli di responsabilità. “Nello specifico, l’UGEI, grazie a un intenso lavoro di ristrutturazione interna e alla costruzione di un solido network internazionale, ha raggiunto una stabilità tale da essere riconosciuta come un punto di riferimento credibile per condurre un progetto così delicato – spiega David Fiorentini, ideatore del programma assieme al comitato composto da Rav Della Rocca, Genny Di Consiglio, Simone Mortara, Luca Spizzichino e Lela Sadikario – Finalmente, con la collaborazione di UCEI, JDC e Agenzia Ebraica per Israele, abbiamo potuto lanciare una leadership pipeline che possa veramente fare la differenza per il futuro della nostra Comunità”. Ecco dunque che lo Shabbaton si pone all’interno di un programma più lungo, fatto di incontri online e in presenza e di un viaggio in Israele durante l’estate per coronare l’esperienza. Rav Gadi Piperno ci ha invitato a riflettere sulla figura del leader in maniera diversa da un capo superiore agli altri, bensì come un individuo che si pone al servizio della collettività, spostando così l’attenzione sul senso di responsabilità di ciascuna persona deve coltivare verso il prossimo. Specie in virtù del fatto che la Torah è stata donata a tutto il popolo ebraico, nel suo insieme.

Attraverso gli interventi degli speaker, si è svolto un lavoro di approfondimento personale delle proprie concezioni valoriali, così da sviluppare il dibattito e la condivisione reciproca. Con Moran Moshe, shlichà dell’Agenzia Ebraica a Milano, abbiamo parlato del nostro rapporto individuale con l’ebraismo, poi indagato in una visione più generale delle opinioni dei giovani ebrei italiani con la presentazione del libro “Due ebrei, tre opinioni” da parte di Giulio Piperno, che ci ha portato a scoprire i divari di pensiero principali e le loro motivazioni. Tra pasti conviviali e momenti di team-building, abbiamo avuto modo di costruire un organico percorso di consapevolezza con Avy Leghziel, formatore italiano venuto da Israele, simulando situazioni di confronto decisionale e analizzando il concetto di successo nella leadership ebraica, attraverso esempi di personaggi che hanno fatto la storia. Riflettendo, poi, sull’impatto delle narrative che formano il nostro bagaglio culturale e sul concetto di leadership collettiva. Si sono anche analizzate caratteristiche che contraddistinguono una comunità, esplorando le zone di tensione che possono sorgere nella complessa dicotomia tra valori e strategie. A questo, si sono alternati lavori individuali per comprendere il nostro potenziale ruolo di leadership, testando tattiche che possano portare alla realizzazione di progetti che più abbiamo a cuore.

Insomma, grazie a un approccio comunicativo volto a generare confronto e dialogo autentico, sono state davvero molte le occasioni di arricchimento. Tal Shainshein, studentessa israeliana al primo anno di medicina a Ravenna, condivide con noi: “in questi giorni ho avuto modo di scoprire realtà differenziate di varie comunità ebraiche, attraverso lenti completamente nuove, poiché crescendo in Israele non ho mai avuto occasione di vivere in una comunità di minoranza. Da quando vivo qui sento di più lo stimolo a coltivare la mia identità ebraica, e sono rimasta molto colpita dalla quantità di sforzi che vengono fatti per garantire ai giovani ebrei italiani il supporto necessario in questo intento”. Grande partecipazione è arrivata proprio dalle piccole comunità, come ci racconta Rebecca Malamut, nata e cresciuta a Verona:” questa esperienza mi ha permesso di acquisire consapevolezza circa l’importanza che abbiamo noi giovani all’interno delle comunità, e della necessità di scovare nuove voci che si prendano cura di mantenere forti le nostre radici, soprattutto in periodi difficili come questi. Mi preoccupa vedere come la mia comunità stia diventando sempre più piccola e con il tempo rischi di sparire. Mi auguro che anche grazie ad essi, nel mio piccolo, riuscirò a dare una mano alla mia comunità. È stata inoltre un’occasione per instaurare nuovi rapporti significativi, che spero possano consolidarsi nel tempo.” Benjamin Coen, di Roma, condivide invece il punto di vista di un membro di una comunità più grande: “questo percorso mi è stato utile a rifocalizzare il mio punto di vista attraverso una visione più aperta e consapevole, in un contesto in cui sono stati messi da parte preconcetti consolidati che invece tendo spesso a percepire nella mia comunità. Mi ha dato conforto conoscere persone con trascorsi differenti dal mio con i quali discutere insieme di interessi comuni ed opinioni contrastanti, e pensare alle potenzialità di collaborazione future.” Un progetto dal grande impatto concreto, che incoraggia a seguire i passi suggeriti dal celebre Pirke’ Avot“Se io non sono per me, chi è per me? Ma quando io sono per me stesso, che cosa sono io? E se non ora, quando?”

 

Redazione HaTikwa

Organo ufficiale di stampa dell’Unione Giovani Ebrei d’Italia. Fondato nel 1949, dal 2010 è una testata online e inserto mensile di Pagine Ebraiche.

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