Dalla paura al canto- Haftarah della Parashah Beshalach

 In Dall'Ufficio Rabbinico, Parashà della Settimana

Rav Katriel Brander, Presidente delle Istituzioni Or Torah Israel

Il popolo d’Israele prova sollievo e sicurezza e si lascia andare al canto. Solo poche ore prima, la paura per il loro destino era paralizzante, mentre l’esercito del Faraone e i suoi cavalieri li inseguivano sulla riva del Mar Rosso. Senza via di scampo tra l’armata egiziana che si avvicinava e le profondità del mare, gli Israeliti gridarono a Dio affinché li salvasse nel momento critico in cui si trovavano.

Ed ecco che ora si trovano dall’altra parte del mare, dopo che il Signore li ha salvati e ha miracolosamente aperto per loro il mare. Mentre riprendono fiato, scoppiano in un canto – guardano indietro alla paura, si guardano intorno per osservare il miracolo e guardano avanti verso un futuro luminoso e la libertà che li attende.

Questa redenzione emotiva del passaggio del Mar Rosso viene evidenziata dal Ba’al HaTurim nel suo commento alla Parashah di Massei. Quando la Torah descrive le tappe del viaggio del popolo d’Israele nel deserto, dice che gli Israeliti si spostarono da Charada a Makhelot (Numeri 33:25). Invece di considerare Charada e Makhelot semplicemente come nomi di luoghi, il Ba’al HaTurim interpreta questo versetto come un riferimento al miracolo del mare, quando gli Israeliti passarono dallo stato di paura e terrore a quello del canto che sgorgò da molte gole come un coro. Questo passaggio mentale è, di per sé, un elemento della redenzione: la trasformazione da una condizione di sopravvivenza e panico a una di consapevolezza, introspezione e rinascita.

Non meno carico di emozione è il Cantico di Debora, riportato nell’Haftarah di questo Shabbat, che la profetessa e giudice canta dopo la guerra contro i Cananei sul Monte Tabor. Anni di ostilità giungono al termine con una vittoria decisiva del popolo d’Israele, che segna l’inizio di un periodo di quarant’anni di pace nella Terra d’Israele. Finalmente, Debora può guardare indietro e riflettere sugli eventi passati.

Proprio come coloro che cantarono il Cantico del Mare, anche Debora seppe riconoscere la mano di Dio in questo momento cruciale della nostra storia – una prospettiva che non si può assumere nel bel mezzo della battaglia. Menziona quali tribù hanno partecipato alla lotta e quali hanno preferito occuparsi dei propri affari, elogiando e criticando di conseguenza i meritevoli.

Debora conclude il suo canto con una riflessione sul prezzo emotivo pagato dal nemico, riferendosi alla madre del comandante dell’esercito di Cazor, che attende invano il ritorno del figlio a casa:

“Dalla finestra si affacciava e gemeva
la madre di Sisera dietro la grata:
‘Perché tarda il suo carro ad arrivare?
Perché si attardano i passi dei suoi cavalli?’”
(Giudici 5:28)

Questo vivido ritratto continua a risuonare nella tradizione ebraica fino ai giorni nostri, poiché i lamenti della madre di Sisera vengono evocati nel suono dello shofar a Rosh HaShanah, con le cento suonate (Teruot), come riportato nei Tosafot (Rosh HaShanah 30b). Questo parallelo non emerge durante la guerra, ma solo alla sua conclusione, quando il popolo comincia gradualmente a percepire la nuova quiete conquistata.

Anche noi ci troviamo ora in un momento che racchiude la speranza di pace. Il fragile cessate il fuoco regge per il momento, e quasi ci sentiamo pronti a sollevare lo sguardo e il cuore dal turbine emotivo della guerra. I morti e i caduti non torneranno più, i feriti sono ancora in via di guarigione, le comunità devastate stanno ancora risorgendo dalle macerie e non tutti gli ostaggi sono ancora tornati a casa.

Eppure, nonostante il dolore e il terrore che ancora ci avvolgono, si intravede già all’orizzonte una possibile fine di questa guerra, una situazione che ci permette di iniziare a fare un bilancio – come siamo arrivati fin qui? Come abbiamo attraversato insieme questo viaggio? Come ricorderemo i caduti? Come aiuteremo i feriti? E come vogliamo andare avanti da qui?

La quiete relativa di questo momento non è forse paragonabile al sollievo della vittoria che provarono i nostri antenati al Mar Rosso o sul Monte Tabor, ma è comunque un attimo da segnare, un momento in cui possiamo riprendere fiato, come individui e come Popolo, e riallinearci con la nostra bussola nel cammino nazionale. Un cammino di fede, resilienza e responsabilità, di ricostruzione della nostra casa nazionale. Il cammino che ci ha guidato attraverso tutte le generazioni.

Shabbat Shalom

Rabbino Tomer Corinaldi

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