A ciascuno il suo (Ognuno con la propria vita) – Parashat Bo
di Rav Shmuel Rabinowitz, Rabbino del Kotel e luoghi sacri in Israele
tradotto da David Malamut
Nella Parasha di questa settimana leggiamo del primo evento significativo nella storia del popolo ebraico: l’esodo dall’Egitto. La Torah descrive questo evento con grandiosità e magnificenza come previsto (Esodo 12, 37-41):
<<I figli d’Israel partirono da Ramessès verso Succòt, (nel numero di) circa seicentomila pedoni, (cioè) gli uomini adulti, oltre dei piccoli [al di sotto dei vent’anni]. Ed anche molta gente straniera venne via con essi; ed animali minuti e grossi, bestiame numeroso oltremodo. Della pasta che seco portarono dall’Egitto, cossero focacce azzime, poiché non erasi lievitata; poiché furono scacciati dall’Egitto, e non poterono indugiare, e nemmeno si prepararono alcuna vettovaglia. La dimora ch’i figli d’Israel fecero in Egitto, fu di quattrocento e trenta anni. Ora, al termine di quattrocento trent’anni, nel medesimo (suaccennato) giorno, uscirono tutte le schiere del Signore dal paese d’Egitto.>>
A prima vista, questi versetti menzionano esplicitamente la durata del tempo trascorso dai figli d’Israele in Egitto: quattrocentotrenta (430) anni. Tuttavia, i nostri Saggi e commentatori della Torah lo hanno calcolato e hanno dimostrato che ciò non è proprio corretto, “i calcoli non tornano” come si direbbe. Appunto, secondo i loro calcoli, i figli d’Israele rimasero in Egitto solo duecentodieci (210) anni. Il numero “quattrocentotrenta anni” comprende il tempo trascorso dai giorni del nostro Patriarca Abramo, che visse anch’egli per un certo periodo in Egitto. Ma in realtà, dalla partenza (la “discesa”) di Giacobbe in Egitto fino all’Esodo, non trascorsero più di duecentodieci anni.
La prova che i figli d’Israele rimasero in Egitto solo per duecentodieci anni, e non quattrocentotrenta, è spiegata ampiamente da Rashi. Il calcolo si basa sulla durata della vita di Mosè Rabeinu, e dei suoi antenati, brevemente riassunta come segue: Kohath (Qehath) andò (discese) in Egitto con Giacobbe, come spiegato nella Genesi. Amram, suo figlio, visse in Egitto, e Mosè, figlio di Amram, condusse i figli d’Israele fuori dall’Egitto quando aveva ottant’anni. Anche se considerassimo la durata della vita messa insieme dei tre personaggi menzionati prima, raggiungeremmo solo i 350 anni. Si tratta però di un calcolo fuorviante poiché una persona non nasce nell’anno in cui muore il padre, ma molti anni prima. Di conseguenza, siamo costretti a concludere che i figli d’Israele rimasero in Egitto per meno anni e, secondo la tradizione dei nostri Saggi, la durata effettiva fu di duecentodieci anni.
Uno dei più grandi studiosi ebrei dell’Europa dell’Est all’inizio del XX° secolo fu il Rabbino Yosef Rosen, che visse a Daugavpils (nota anche come Dvinsk) in Lettonia. Durante la sua vita circolavano leggende sul suo genio e i suoi libri unici sono ancora studiati oggi. Il rabbino Rosen ha suggerito in modo sorprendente che entrambi i numeri, quattrocentotrenta e duecentodieci, possano essere riconciliati e accettati come corretti.
Secondo il Rabbino Rosen, se si considera ogni generazione separatamente senza sottrarre gli anni in cui un padre e un figlio hanno vissuto contemporaneamente, si arriva al numero preciso di 430 anni! Il calcolo dettagliato è piuttosto intricato, quindi forniremo solo un esempio di questo calcolo: se Amram visse 137 anni e Mosè visse 80 anni fino all’Esodo, conteremo questi anni come 217 anni, anche se in pratica Mosè visse accanto a suo padre per molti anni. Attraverso questo calcolo originale delle generazioni dalla discesa in Egitto fino all’Esodo, arriviamo al numero esatto di 430 anni.
E la domanda sorge spontaneamente: perché mai calcolare gli anni in questo modo? Sappiamo che una persona non nasce nell’anno in cui muore il padre! Se Mosè fosse nato quando suo padre, ad esempio, aveva vent’anni, in pratica il tempo trascorso dalla nascita del figlio di Amram fino all’Esodo sarebbe stato di soli 100 anni. Qual è la logica, quindi, nel contare separatamente gli anni di ciascuna generazione quando in realtà vissero durante alcuni nello stesso periodo?
Se approfondiamo questa proposta, scopriamo una prospettiva unica sulla storia. Si può vedere la storia come una sequenza di anni ed eventi. In questa visione, l’uomo non è al centro, ma lo sono il tempo e la cronologia. Questa prospettiva è il modo in cui vediamo la storia. Esiste però un’altra prospettiva, dove la storia è la storia delle persone. Ogni persona vive in un periodo temporale specifico e sperimenta eventi, sfide, intuizioni, difficoltà e successi unici e personali nel corso della sua vita. Non è corretto contare insieme gli anni di più individui perché ognuno di essi è un mondo completo, unico, che merita di essere contato a sé stante.
Secondo questa prospettiva, un padre e un figlio che vivono fianco a fianco meritano di essere conteggiati come due periodi separati: la vita del padre da sola e la vita del figlio da sola. Poiché ogni persona vive in un mondo unico, contare i propri anni separatamente onora la singolarità delle proprie esperienze.
Dobbiamo ricordare e non dimenticare che la vita di ogni persona è insostituibile. Ciò che non portiamo a suo compimento, con tante probabilità nessun altro lo farà al posto nostro. Le sfide che superiamo sono quelle che nessun altro potrebbe affrontare. I fallimenti sono nostri, così come i successi. Se abbracciamo la vita in questo modo, comprendendo il potere della nostra unicità, questo ci darà forza e motivazione per riuscire in ogni sfida!